MEDICINA MANUALE 1:MANIPOLAZIONI VERTEBRALI, LE MEZZE LEGGI CHE NON COMBATTONO L’ABUSIVISMO



 

 

       di Accursio Miraglia

UN PO’ DI STORIA
L’uso delle mani per il trattamento della colonna vertebrale e delle articolazioni periferiche risale all’antichità: tracce della pratica manipolativa intesa come trattamento terapeutico si trovano nei documenti di antiche scuole mediche, sia occidentali che orientali .
Dal medioevoe fino al rinascimento, tuttavia, la medicina si allontanò dalle pratiche terapeutiche eseguite direttamente dall’operatore sul corpo del paziente, e mentre la chirurgia diventò pratica dei cerusici, nacquero figure popolari, gli aggiusta ossa, che si occuparono del trattamento delle patologie osteo-articolari.
A fine ‘800, con la nascita dell’Osteopatia e della Chiropratica, nacquero i primi metodi che utilizzavano sistematicamente la manipolazione vertebrale come mezzo terapeutico.
La medicina tradizionale si è interessata un po’ in ritardo delle pratiche manipolative usate a scopo terapeutico, e solo negli anni venti del secolo scorso i medici europei hanno iniziato ad utilizzare queste metodiche.
La pratica delle manipolazioni vertebrali “manu medica” subì una vera e propria rivoluzione alla fine degli anni cinquanta per opera di Robert Maigne, che ha avuto il merito di avere trasformato una metodica ancora empirica in una disciplina medico-scientifica, basata su una rigorosa osservazione clinica, su un esame obiettivo ripetibile e corroborata da studi anatomo-patologici: nacque così la Medicina Manuale.

LA DIAGNOSI
Le manipolazioni vertebrali sono molto utili per  il trattamento e la prevenzione del dolore dovuto ai cosiddetti disturbi funzionali reversibili dell’apparato locomotore.
Tuttavia una tappa indispensabile, prima di predisporre un trattamento, è la diagnosi, che necessita di due momenti:
• una valutazione medica convenzionale che include anamnesi, esame obiettivo generale, esami clinici e paraclinici (biologici, radiografi ci, RMN, ecc.);
• una valutazione segmentaria, tramite un esame palpatorio codificato.
Compito del momento diagnostico è quello di individuare con certezza il disturbo funzionale come causa del dolore patito dal paziente, escludendo, al tempo stesso, altre patologie ad eziologia “non benigna”, che si presentano talvolta con una sintomatologia banale, quasi rassicurante,ed il cui trattamento tramite tecniche manuali potrebbe essere inutile o, addirittura, pericoloso.
Secondo il codice di deontologia medica“la diagnosi a fini preventivi, terapeutici e riabilitativi è una diretta, esclusiva e non delegabile competenza del medico e impegna la sua autonomia e responsabilità”.
Ed inoltre “La prescrizione a fini di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione è una diretta, specifica, esclusiva e non delegabile competenza del medico, impegna la sua autonomia e responsabilità e deve far seguito a una diagnosi circostanziata o a un fondato sospetto diagnostico”.
L’Unione Europea dei Medici Specialisti (UEMS)ha pubblicato un documento che contiene la “Definizione europea di Atto Medico”. Questa definizione, adottata per la prima volta nel 2005, dice che “L’atto medico ricomprende tutte le attività professionali, ad esempio di carattere scientifico, di insegnamento, di formazione, educative, organizzative, cliniche e di tecnologia medica, svolte al fine di promuovere la salute, prevenire le malattie, effettuare diagnosi e prescrivere cure terapeutiche o riabilitative nei confronti di pazienti, individui, gruppi o comunità, nel quadro delle norme etiche e deontologiche. L’atto medico è una responsabilità del medico abilitato e deve essere eseguito dal medico o sotto la sua diretta supervisione e/o prescrizione”
Sembra quasi banale che si debba ricorrere fare riferimento a delle normative quanto il buon senso sarebbe sufficiente a far comprendere che il trattamento di un paziente deve essere assolutamente preceduto da una diagnosi di patologia ed una diagnosi differenziale, dalla consultazione o prescrizione di esami specialistici, e che questi compiti sono di esclusiva ed insostituibile pertinenza del medico.
Ma in Italia non è così. Forse perché il businnes dei trattamenti manuali aumenta ogni giorno di più, visti anche i milioni di nostri connazionali affetti da forme varie di rachialgia. La torta è molto grande, e molti vogliono sedersi al tavolo per averne una fetta.
Ma ne hanno i titoli?

Andando dritti al punto: chi, a norma di legge, può trattare un paziente con manipolazioni vertebrali?

NORME DI LEGGE IN CHIROPRATICA
Il primo tentativo di dare un inquadramento legislativo alla Chiropratica è dei primi anni ottanta. È del 25-9-1980, infatti, il decreto del Ministro della Sanità con il quale venne istituita la “Commissione per l’esame e lo studio dei problemi posti dall’attività dei chiropratici e per la formulazione di proposte ai fini di una disciplina del settore”.La suddetta commissione, in data 21-12-82, emanò una circolare nella quale, data per assunta l’utilità terapeutica della chiropratica e la crescente domanda da parte dei pazienti, si affermava la necessità di inserirla tra le professioni sanitarie, con una sua precisa ed autonoma collocazione. A tal fine fu proposta l’istituzione di un corso di laurea in Chiropratica.
Ma la proposta non ebbe alcun seguito legislativo, tanto che la Direzione Centrale Normativa e Contenzioso dell’Agenzia delle Entrate, nella circolare n° 17 del 18-05-2006, negava la detraibilità delle spese sostenute per prestazioni eseguite dai chiropratici in quanto “la figura del chiropratico non ha ancora trovato riconoscimento nel nostro ordinamento, né per tale figura é stato istituito un apposito albo”.
Si affermava inoltre, facendo riferimento alla circolare n.66 del 12 settembre 1984 del Ministero della Sanità, che “le prestazioni chiroterapiche possono essere prestate presso idonee strutture, debitamente autorizzate, la cui direzione sia affidata ad un medico specialista in fisiatria o in ortopedia”. Il documento affermava, infine: “si ritiene, quindi, che le spese per prestazioni chiropratiche, purché prescritte da un medico, possano rientrare tra le spese sanitarie”.
Questa circolare, in sostanza, certificava che, ancora nel 2006, l’unica figura professionale atta a prescrivere una terapia, anche tramite tecniche di Chiropratica, era il medico. Lo stato, non riconoscendo la detraibilità delle spese sostenute per delle terapie effettuate da un chiropratico che non fosse al contempo medico o che non avesse ricevuto precisa prescrizione medica, di fatto non riconosceva quest’ultimo come  figura sanitaria .
Una svolta sembrò esserci alla fine del 2007 quando il governo Prodi, nella finanziaria 2008 (legge 24-12-2007 n° 244pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 300 del 28 dicembre 2007 – Supplemento ordinario n. 285) inserì, al comma 355 dell’art. 2, il seguente testo: ” E’ istituito presso il Ministero della Salute, senza oneri per la finanza pubblica, un registro dei dottori in Chiropratica. L’iscrizione al suddetto registro è consentita a coloro che sono in possesso di diploma di laurea magistrale in Chiropratica o titolo equivalente. Il laureato in Chiropratica ha il titolo di dottore in Chiropratica ed esercita le sue mansioni liberamente come professionista sanitario di grado primario nel campo del diritto alla salute, ai sensi della normativa vigente. Il chiropratico può essere inserito o convenzionato nelle o con le strutture del Servizio Sanitario Nazionale nei modi e nelle forme previsti dall’ordinamento. Il regolamento di attuazione del presente comma è emanato, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, ai sensi dell’art. 17, comma 3, della legge 23 Agosto 1988, n. 400, dal Ministero della salute”.
Questa legge, accolta con estremo favore dai chiropratici non medici, apparentemente risolveva il problema della Chiropratica in Italia. Solo apparentemente però, perché nessun adempimento legislativo (decreto attuativo) ha fatto seguito all’istituzione del registro dei dottori in Chiropratica,e la figura del chiropratico ha continuato, di fatto, a non essere inserita tra le professioni sanitarie.
A tal proposito sulla newsletter dell’Ordine dei Medici di Firenze “Toscana Medica News” n. 5 del 04/02/2010si riportava una notizia secondo la quale un chiropratico avrebbe chiesto all’Agenzia delle Entrate di chiarire se le sue prestazioni fossero da considerare come prestazioni sanitarie, e quindi esenti da IVA. l’Agenzia ha risposto negativamente poiché “il Registro nazionale, pur istituito dalla Legge 244/2007, non è ancora stato concretamente attivato perché mancano i decreti attuativi che regolamentino il profilo professionale, né sono stati attivati i corsi di laurea magistrale in Chiropratica presso le Università italiane”. Pertanto “fino a che non sarà individuato il profilo professionale del chiropratico e non sarà individuato l’ordinamento didattico universitario, le relative prestazioni non possono essere considerate prestazioni sanitarie e, pertanto, non possono beneficiare dell’esenzione IVA”.
La linea dell’Agenzia delle Entrate venne confermata dalla Circolare n° 21/E del 23-04-2010nella quale, al punto 4.6 “Detrazione delle spese sostenute per prestazioni rese da chiropratici”, facendo riferimento all’istituzione, con la finanziaria 2008, del registro dei chiropratici, si evidenziava che: “La disposizione, pur inquadrando il chiropratico tra i professionisti sanitari di grado primario, rinvia ad un decreto attuativo del Ministero della Salute per l’individuazione delle competenze di tale figura professionale che, ad oggi, non risulta ancora emanato. In assenza del regolamento di attuazione che individui il profilo professionale del dottore in Chiropratica e l’ordinamento didattico per conseguire il relativo titolo di professionista sanitario di primo grado, devono ritenersi tuttora validi i chiarimenti forniti con la circolare 18 maggio 2006, n. 17. Le prestazioni di Chiroprassi, pertanto, rientrano tra le prestazioni sanitarie detraibili a condizione che siano eseguite in centri all’uopo autorizzati e sotto la responsabilità tecnica di uno specialista. Naturalmente il chiropratico che sia anche dottore in medicinapotrà eseguire la prestazione di Chiroprassi sotto la propria responsabilità”.
Ad oggi, quindi, non essendo stato dato un seguito attuativo alla legge finanziaria del 2008 che istituiva il registro dei chiropratici, quella del chiropratico non è una professione sanitaria riconosciuta.
Diverso è il caso, come già specificato, di un chiropratico che sia anche medico regolarmente iscritto all’albo: in questo caso il medico è libero di utilizzare i protocolli terapeutici che ritiene più opportuni nei limiti e con le regole che la legge impone a qualunque medico nell’esercizio delle sue funzioni. (continua)

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  1. Complimenti al Dott. Miraglia per l’interessante articolo, che risulta molto ben fatto e che tratta un tema di grande attualità con competenza e chiarezza.

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