di Accursio Miraglia
La colpa professionale
Un principio giuridico generale stabilisce per tuttil’obbligo di rispondere, in sede penale o civile, o in ambedue, dei danni cagionati a terzi.
Chi esercita una professione sanitaria non può naturalmente sottrarsi a tale norma per il suo comportamento nell’esercizio dell’arte salutare, e la responsabilità professionale rappresenta un caso particolare del principio generale appena enunciato.
È eccezionale che il medico, o chiunque eserciti una professione sanitaria, arrechi volontariamente del danno al proprio paziente; accade, invece, non del tutto raramente, che danno derivi al paziente da imprudenza, imperizia, o negligenza,ed è più propriamente in questi casi che si parla di responsabilità professionale o di colpa medica.
La responsabilità penale in caso di colpa implica che, sebbene il sanitario non abbia nello specifico voluto l’evento, egli ha tuttavia voluto il fatto illecito che ha causato l’evento medesimo, e ciò basta a dichiarare la sua responsabilità.
La responsabilità civile trova la sua codificazione nel disposto dell’art. 2043 C.C., che recita: «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno ».
La responsabilità colposa si ha quando il medico o chi esercita una attività parasanitaria, per negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline cagiona, senza volerlo, la morte o la lesione personale del paziente.
La colpa può essere specifica o generica.
Lacolpa specificasi verifica in caso di trasgressione di norme giuridiche, dettate da leggi o da regolamenti che disciplinano determinati campi dell’attività sanitaria, come può accadere nel caso di incidenti trasfusionali provocati contravvenendo alle disposizioni in materia di raccolta, conservazione e distribuzione del sangue umano, qualora il danno al paziente derivi dalla conservazione difettosa del sangue, da errori di tipizzazione e così via.
Lacolpa generica esiste in tutti i casi, in cui l’opera del sanitario sia stata viziata da un comportamento imperito, imprudente o negligente.
L’imperiziaha un profilo strettamente tecnico e deriva dalla mancanza di nozioni scientifiche epratiche o da una insufficiente esperienza professionale. La perizia del medico o di altro sanitario consiste nel sapere e nel saper fare ciò che richiede il proprio campo di attività. Si consideraimperito colui che non sa o non sa fare quello che ogni altro collega di pari livello professionale avrebbe correttamente eseguito nello stesso caso clinico. La responsabilità da imperizia richiede una valutazione molto aderente al caso in esame e chi giudica deve tenere conto delle difficoltà tecniche incontrate nella soluzione del singolo caso.
L’imprudenzasi configura quando il medico agisce con avventatezza, eccessiva precipitazione oingiustificata fretta, senza adottare quelle cautele consigliate dalla ordinaria prudenza o dall’osservanza di precauzioni doverose. La prudenza presuppone che il medico o chiunque eserciti una professione sanitaria conosca bene la regola dell’arte, sappia scegliere il modo più opportuno e tempestivo per attuare il proprio intervento e abbia a prevedere quali possano essere le conseguenze del suo operato. Resta nei limiti della prudenza il medico che, pur usando mezzi diagnostici o curativi rischiosi, valuta correttamente il pericolo e cerca di evitare gli effetti collaterali di una terapia o le complicanze di un trattamento chirurgico, mentre cade nell’imprudenza se egli si comporta in modo avventato o temerario.
La negligenzasi ha quando il sanitario, per disattenzione, dimenticanza, disaccortezza,svogliatezza, leggerezza, superficialità o altro, trascuri quelle regole comuni di diligenza richieste nell’esercizio della professione e osservate dalla generalità dei medici. La condotta negligente è la meno scusabile perché il dovere di diligenza e di sollecitudine non può venire meno in nessuna prestazione professionale, evitando quelle distrazioni, insufficienze o mancanze che possono costituire la causa del danno al paziente. Oggi si afferma che il compito della tutela della salute impone al medico la massima diligenza e completezza dei suoi interventi diagnostici e curativi.
Il nesso di causalità
In tema di responsabilità penale si deve accertare il nesso di causalitàtra il danno riportato dal paziente e il comportamento del sanitario. La colpa non è astrattamente configurabile, ma richiede dimostrazione collegando l’evento dannoso stesso all’attività specifica espletata dal medico. Occorre usare cioè una criteriologia di indagine adeguata al singolo caso concreto.
Un evento deve considerarsi causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo e se non sia sopravvenuto, nella concatenazione causale, un altro fatto di per sé idoneo a determinate l’evento
Sia sul piano civile che sul piano penale, affinché sia integrata una determinata fattispecie, occorre che l’azione o l’omissione del sanitario sia strettamente collegata all’evento lesivo da un rapporto definito di causalità: l’azione o l’omissione devono essere diretta causa dell’accadimento lesivo, in assenza dei quali il danno non si sarebbe sicuramente verificato. L’assenza di nesso di causalità – o la mancata prova della stessa – ha l’immediata conseguenza di liberare il sanitario da qualsiasi tipo di responsabilità ascrittagli
In base alle norme legislative spetta al paziente dimostrare di aver subito un danno: dunque l’onere della prova è a carico del danneggiato che dovrà chiarire al giudice non solo la natura e l’entità della lesione subìta, ma anche come la stessa possa essere dipesa dall’errore del medico (rapporto di causalità).
Se l’evento colposo non causa un danno non si configura un quadro di responsabilità professionale.
Ad esempio non vi è responsabilità professionale se un radiologo non rileva una frattura vertebrale (per esempio post trauma) ma al paziente non deriva alcun danno, magari perché viene prontamente prescritto un busto da altro specialista o perché il paziente osserva un adeguato periodo di riposo.
Viceversa vi sarà responsabilità professionale se un medico causa un danno sottoponendo a manipolazione vertebrale un paziente affetto da una patologia che ne controindicava il trattamento.
Diritto al risarcimento
Perché vi sia diritto ad un risarcimento occorre che sussistano quindi dueelementi: una condotta colposa ed un danno permanente. La sola condotta colposa di per sé non da diritto ad una richiesta di danni se da questa non sia derivato un danno materiale che possa essere provato in sede medico-legale.
Consenso al trattamento sanitario
Non sono rari i casi in cui il “mancato consenso”al trattamento medico-chirurgico vizia l’operato del medico e diviene fonte di responsabilità professionale.
Il Codice di deontologia medica (art. 40) afferma la regola che non è consentito alcun trattamento medico contro la volontà del paziente e precisa che il medico non può intraprendere alcuna attività diagnostico-terapeutica senza il valido consenso del paziente che, pur essendo implicito nel rapporto di fiducia, deve essere consapevole ed esplicito allorché l’atto medico comporti un rischio o una diminuzione permanente della integrità fisica.
L’obbligo di acquisire il consenso, che equivale alla libera e cosciente volontà del paziente di sottoporsi all’atto medico-chirurgico, costituisce una norma di portata universale, la quale trova riscontro nei Codici deontologici di tutti i paesi. La Guida europea di etica medica dichiara (art. 4) che il medico, salvo il caso di urgenza, acquisirà il consenso del paziente e illustrerà al malato gli effetti e le conseguenze prevedibili della terapia, soprattutto quando il trattamento comporti un grave rischio.
Il nostro Codice deontologico precisa ulteriori regole, che fanno da corollario ai principi sopra detti (art. 41 e 42):
- alla presenza di un esplicito rifiuto del paziente capace di intendere e di volere, il medico è tenuto in ogni caso a desistere da qualsiasi atto diagnostico e curativo;
- i procedimenti diagnostici e i trattamenti terapeutici suscettibili di porre in pericolo l’incolumità del paziente debbono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sui rischi reali, cui dovrà fare seguito la documentazione opportuna del consenso;
- in caso di minore o di infermo di mente, il consenso dovrà essere espresso da chi esercita la tutela;
- allorché sussistano condizioni di necessità e urgenza, accompagnate da grave turbamento intellettivo, il medico dovrà agire secondo scienza e coscienza, nell’interesse esclusivo del paziente;
- in caso di opposizione del paziente affetto da condizioni patologiche per le quali sia previsto il trattamento sanitario obbligatorio, il medico dovrà acquisire sollecitamente la necessaria ordinanza del Sindaco.
Oltre i riferimenti etico-deontologici ora detti vi sono le norme giuridiche che impongono la necessità del consenso nei casi di trattamenti medici.
Tra questi si colloca il dettato costituzionale (art. 32) dichiarando che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”e neppurela legge può violare in nessun caso i limiti imposti al rispetto della persona.
Obbligazione di mezzi non di risultato
Quando si valuta un caso di presunta responsabilità medica occorre avere bene a mente una distinzione fondamentale nel mondo giuridico: quella fra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato.
Le obbligazioni di mezzi, infatti, sono quelle che hanno per oggetto l’impiego diligente, da parte dell’obbligato, delle prestazioni che gli sono richieste; rispetto ad esse il creditore non può pretendere il raggiungimento di un determinato risultato e l’adempimento non è connesso all’esito positivo dell’attività posta in essere dal debitore.
Ciò al contrario di quanto avviene nelle obbligazioni di risultato, che consistono proprio nel conseguimento di un determinato risultato da parte dell’obbligato, il quale è adempiente solo quando “raggiunge l’obiettivo”.
Il medico, nei confronti del paziente, assume un’obbligazione che non è di risultato ma di mezzi e tale assunto è fondamentale nella valutazione della sua responsabilità per interventi che non hanno portato ai risultati sperati.
Del resto, non può non considerarsi che l’attività professionale medica ha un’alea sulla quale il professionista non è in grado di intervenire. li medico quindi, quando assume un’obbligazione nei confronti del paziente, è tenuto a operare con la massima diligenza per raggiungere il risultato sperato dal paziente stesso ma non si obbliga a raggiungerlo.
Di conseguenza, se il risultato desiderato dal paziente non è raggiunto, non è possibile addebitarne automaticamente, per tale sola circostanza, la responsabilità al sanitario, ma occorre valutare il comportamento del medico tenendo conto dei doveri che regolano lo svolgimento dell’attività professionale, come quello di diligenza Solo se questi sono violati, il sanitario potrà dirsi inadempiente e responsabile nei confronti del paziente.
Conclusioni
Il rapporto tra medico è paziente è uno dei più intimi e complessi che esista, a livello umano prima che giuridico, in quanto uno dei “contraenti” affida all’altro il suo bene più prezioso: la salute. È obbligo del medico, morale oltre che giuridico, operare al massimo delle proprie possibilità professionali ed umane per salvaguardare tale bene.
In tal senso appare indispensabile che l’operato del medico si confronti costantemente con il rispetto del principio di scienza e coscienza, che deve essere considerato non una formula astratta, bensì un elemento base del giuramento professionale moderno, un binomio che esorta tutti i professionisti medici alla necessità di attenersi alla formula della responsabilità, espletando con impegno, attenzione ed al massimo delle proprie possibilità il compito affidatogli dal paziente.
La responsabilità del medico, ben oltre i luoghi comuni, gli stereotipi ed i paradigmi formativi, è una sola: quella dell’impegno e della solidarietà, delle scelte adeguate e dell’operare nel solo interesse della salute della persona, senza ricorrere a frasi fatte né a formalismi. Si tratta quindi di una responsabilità ampia e impegnativa che vede il medico moderno sempre più attento a quella realtà in continua evoluzione rappresentata dalla persona nella sua interezza, la cui esplorazione deve essere costante, appassionata e consapevole di come il corpo sia l’albergo dell’anima e qualsiasi terapia debba tenerne conto.