La famiglia, la genitorialità e la disabilità

Anno: 2023 - Vol.8 / Fascicolo: 13 / Periodo: ott - dic

Autori:

Carla Rossella Cavallo

Ins. di sostegno presso ITIS “A. Rossi” di Vicenza

Pedagogista Clinico ANPEC


Negli ultimi anni si parla tanto e sotto diversi aspetti di “Famiglia e Genitorialità”, in questo articolo cercherò di affrontare questo argomento ma cerchiamo di capire da dove si parte: dal punto di vista legislativo la genitorialità: è un diritto che trova origine nella Costituzione negli artt.31 e 37 e diffusamente nella legge i cui capisaldi sono nei D.Lgs. 151/2001 e D.Lgs. 80/2015 che tutelano la maternità, i genitori ed i figli dal concepimento ai primi anni di vita mirando alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro dei genitori;

dal punto di vista sociale: “è il contesto delle prime esperienze di relazione e di convivenza sociale! È il luogo in cui vengono apprese le regole del comportamento interpersonale. Rappresenta la base dei processi di socializzazione!”

Nella famiglia nasce l’idea di genitorialità e delle funzioni che assumono i genitori.

Le funzioni sono:

  • la funzione affettiva, cioè il prendersi cura dei figli;
  • la funzione protettiva, cioè la capacità attiva di prevenire il pericolo;
  • la funzione regolativa, cioè la codificazione dei comportamenti e delle regole sociale;
  • la funzione empatica, cioè la capacità di entrare in empatia con i figli.

Molte volte si verificano anche cause di conflitto, solitamente, quest’ultime sono legate ad una differente percezione dei bisogni e degli interessi. Le situazioni conflittuali vanno gestite in modo costruttivo, non tutte le situazioni sono negoziabili ma possono essere regolati con dialogo e scambi.

Riporto l’attenzione alla definizione comune di genitorialità, cioè quella riconosciuta universalmente dagli specialisti è che si tratti di una fase di sviluppo dell’adulto in cui si genera la capacità di creare, proteggere, nutrire, amare, rispettare e provare piacere per un essere diverso da sé, che non è necessariamente un bambino da generare e crescere.

Possiamo dire che negli ultimi anni il termine genitorialità e la sua definizione si sono ulteriormente evoluti e ramificati, comprendendo diversi aspetti della ricerca clinica. In termini psicodinamici, ad esempio, la genitorialità e le sue funzioni sono parte fondamentale di ogni adulto a tal proposito si sviluppano iniziative di educazione alla genitorialità e al sostegno.

La concezione più comune e iniziale paragonava la genitorialità ad un apprendistato per imparare l’arte di essere genitori, rispondendo ai bisogni dei figli nelle diverse fasi della loro evoluzione in modo adeguato. Una concezione più psicologica vede, invece, la genitorialità come parte fondante della personalità e si forma nell’infanzia, quando il bambino interiorizza comportamenti, aspettative, desideri e fantasie dei genitori nel cosiddetto “Genitore Interno”.

Diversi autoriaffrontano il tema ma essendo più incline al pensiero di Erikson riporto la sua definizione cioè: esiste uno stadio da lui definito come GENERATIVITA’ ovvero lo spazio della persona che “si occupa di”, quindi il culmine dello sviluppo psicosessuale e psicosociale.

A questo punto entriamo nelle dinamiche di coppia e di famiglia dove troviamo l’equilibrio tra separatezza-confini-segreti-spazi individuali e intreccio-spazi vissuti insieme-pensieri ed emozioni verbalizzati e condivisi.

Con il termine genitorialità, quindi, non si intende solo l’essere genitori reali ma il possedere al proprio interno uno spazio che fa parte dello sviluppo della persona e si attiva con la nascita di un figlio.

Il ruolo dei genitori, per molte persone, non è una semplice ma può essere uno dei mestieri più faticosi che si intraprendono. Sin dalla nascita, i bambini possono creare stress nei loro genitori. Ci si confronta con una vasta gamma di problemi quotidiani per esempio i compiti a casa, fattori di stress come i conflitti tra fratelli, problemi comportamentali e di salute. Quando ai genitori mancano le risorse per gestire i fattori di stress infantili, essi sono a rischio di burnout genitoriale.

Il burnout parentale deriva è definito come uno stato di intenso esaurimento connesso al proprio ruolo genitoriale, in cui ci si distacca emotivamente dai propri figli e si diventa dubbiosi sulla propria capacità genitoriale.

Adesso vorrei porre l’attenzione quando si ha un figlio con disabilità dello sviluppo che determina implicazioni sul cambiamento di vita e effetti a lungo termine nella vita dell’intera famiglia. La diagnosi di disabilità riguarda, solo in Italia, circa 2 milioni e 300 mila le famiglie, nelle quali vive almeno una persona con limitazioni gravi, secondo le stime più recenti del 2019. Dalle diverse ricerche è emerso che studi condotti in quest’ambito mostrano che i genitori aventi figli con disabilità subiscono livelli più elevati di stress rispetto ai genitori di bambini con uno sviluppo tipico. L’effetto che un bambino con disabilità ha sulla famiglia è multidimensionale, influenza la quasi  totalità del sistema familiare e le relazioni tra i membri della famiglia. Anche il benessere dei fratelli dei bambini con disabilità potrebbe essere compromesso a causa dello stress vissuto in famiglia.

Affrontare queste situazioni significa sperimentare livelli più elevati di stress rispetto alle famiglie di bambini con sviluppo tipico. I genitori potrebbero sperimentare depressione, ansia, alti livelli di disperazione, fallimento, senso di colpa, riportano ridotte capacità genitoriali e minore soddisfazione coniugale.

Ad influenzare la vita e le dinamiche familiari non è solo il bambino con disabilità ma anche la famiglia influenza positivamente o negativamente lo sviluppo del bambino, come ho detto precedentemente e reciproco.

Le reazioni dei genitori dipende anche dal tipo di diagnosi, dal ritardo mentale ai disturbi del neurosviluppo, come l’autismo. In alcuni genitori, la scoperta che il loro bambino ha una disabilità, arriva innanzitutto come una delusione e può portare un persistente senso di perdita. È chiaro che la disabilità del bambino colpisce l’intera famiglia ma ci sono prove considerevoli del fatto che le madri abbiano un maggior impatto emotivo rispetto ai padri. In uno studio condotto da Gray  nel 2003 su famiglie di bambini con autismo, l’autore ha scoperto che le madri e i padri erano influenzati in modi e livelli diversi dalle condizioni del loro bambino. Inoltre, i padri sopportavano che le condizioni del loro bambino non li avessero influenzato personalmente come hanno fatto con le loro mogli e quest’ultime li hanno influenzati. Secondo l’autore il diverso livello di stress vissuto da madri e padri può essere spiegato riferendosi ai ruoli di genere legati al lavoro e all’educazione dei figli. Mentre le madri sono di solito più coinvolte nell’accudimento del bambino, i padri sono più impegnati a lavorare per sostenere i bisogni finanziari della famiglia. Inoltre l’autore afferma che ci sarebbe una differenza nelle strategie di coping che utilizzano le madri e i padri (il coping è utile a sviluppare resilienza). Poiché, mentre i padri tendono a sopprimere i loro sentimenti, o a evitarli impegnandosi stando lontano da casa, le madri tendono a esprimere e condividere le loro emozioni; nello specifico esse provano una vasta gamma più ampia di emozioni e parlano di più con gli altri delle loro emozioni. Si sono evidenziati anche differenze nelle percezioni o valutazioni cognitive. Anche questo fattore incide sui livelli di stress vissuti dai genitori. Quindi, sintetizzo dicendo che se avere un figlio con disabilità porta allo stress o a una strategia di coping positiva, dipenderà dalle percezioni della famiglia sulla disabilità del bambino.

Esistono diverse iniziative a riguardo ma oggi facciamo una semplice distinzione tra due tipi di formazioni la Parent Education Programs (PEP) e il Parent Training Management (PTM) entrambe sono due formazioni che aiutano i genitori a gestire i problemi comportamentali dei loro figli a casa e/o scuola…

I PEP hanno il carattere preventivo oltre che di intervento e possono essere applicati sia in situazioni di disagio che in situazioni non particolari.

I PTM hanno carattere di intervento e sono applicati in situazioni in cui i genitori devono gestire un disagio o una patologia dei figli.

La conduzione di entrambe sono simili fatte salve le specificità del gruppo, gli obiettivi e le eventuali difficoltà dei sistemi familiari.

Offrono gli strumenti per fronteggiare le situazioni problematiche fornendo un kit di sopravvivenza.

Dimostrando la loro efficacia soprattutto quando le aspettative sono eterne al problema.

Questo tipo di programmi dimostrano la loro efficacia quando i genitori si sentono in grado di mettersi personalmente in gioco.

Il metodo PEP-REB®

Si basa su una metodologia che si chiama Reflecting®, in particolare si riferiscono al modello di educazione  che pone al centro il cosiddetto “ciclo della riflessione”.

Da sfondo fanno il silenzio, l’uso ponderato delle parole e dei gesti  (comunicazione non verbale).

Nel ciclo della riflessione si parte da uno stimolo intenzionale che può essere strutturato o non strutturato per esempio una slide, video, immagine … capace di sollecitare nell’altro una riflessione su un tema o un’esperienza soggettiva.

Dopo la riflessione si da spazio al gruppo di condividere queste riflessioni, solo dopo che la riflessione da individuale è divenuta partecipata è possibile proporre un nuovo stimolo.

Il n° degli incontri può variare da 6 a 15 e della durata di 1.5/2 h ogni incontro, con cadenza settimanale, quindicinale o mensile.

Le esperienze condotte,in qualità di Pedagogista Clinico, a riguardo hanno dimostrato come per molti genitori è stata un’esperienza nuova e positiva, inizialmente hanno partecipato per curiosità convinti di sapere di cosa si trattasse, a fine percorso avevano imparato delle strategie di riflessione che non avevano mai considerato.

Nei gruppi di lavoro erano presenti anche genitori con figli disabili e seppur il pensiero iniziale di molti era: “per loro è più difficile, non possono servire le stesse modalità che funzionano per gli altri!”. Alla fine, molti si sono ricreduti nel sentire le condivisioni di genitori che pur avendo figli con disabilità hanno gli stessi problemi adolescenziali, ecc… di tutti gli altri!

Concludo, riportando quello che, secondo me, non andrebbe mai dimenticato, per capire i genitori che si trovano a dover affrontare una situazione particolare o/e problematica, bisogna considerare che quest’ultimi potrebbero vivere una negazione inconsciadell’immagine del figlio nel futuro: una negazione sia ideale a causa “del fallimento” sia a causa e a seconda delle limitazioni psichiche e/o fisiche con cui convivrà.

SITOGRAFIA:

https://www.stateofmind.it/2021/05/disabilita-figli-burnout-genitori/

https://docenti.unimc.it/n.delbianco/teaching/2021/24795/files/slides-amatori_08.11.21

https://flore.unifi.it/retrieve/handle/2158/558107/16604/Tesi%20di%20Dottorato.pdf

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