Di seguito pubblichiamo la mail inviata al Corriere, a firma di Morena Ottaviani, quale spunto di riflessione e di dibattito , dopo la pubblicazione di una risposta ad un Lettore .
Sono un Medico Fisiatra da 25 anni, prima in ambito Ospedaliero, poi in Ambulatori Privati accreditati dalla Regione, in diverse regioni. Da anni faccio parte del Comitato di Redazione della rivista Fisiatria Italiana (ISSN 2785-745X; ANCE E266519), sono associata all’A.N.F. dalla sua recente fondazione e mi preme fare alcune osservazioni in merito alla Riabilitazione come viene argomentata sul vs. numero del 30/04/23.
Il Fisiatra è quel Medico che si occupa della programmazione e segue passo dopo passo il percorso riabilitativo del paziente disabile, sia che si tratti di una disabilità temporanea, sia permanente. Il percorso di studi di un Fisiatra contempla la Laurea in Medicina e Chirurgia (6 anni) e la successiva Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione (4 anni, per quel che mi riguarda). Il Fisiatra è il responsabile Medico, etico, deontologico e medico-legale del Progetto Riabilitativo, cioè di quell’insieme di prescrizioni che consentono la Presa in Carico del paziente e che possono scaturire solo in seguito ad una accurata Visita Medica Fisiatrica.
Per effettuare una vera valutazione Fisiatrica e la successiva fase riabilitativa, è necessario inevitabilmente “sporcarsi le mani” come amiamo dire noi riabilitatori: il paziente va “toccato” perché non bastano gli occhi ma sono indispensabili anche le percezioni che le nostre mani hanno “toccando” un muscolo, mobilizzando un’articolazione, percependo la resistenza che si oppone ad un movimento o la lassità che rivela una lesione, misurando con l’intensità delle nostre pressioni l’intensità corrispondente di un dolore che solo il paziente è in grado di percepire ma che è indispensabile per noi quantificare.
Poste queste premesse, non posso che rabbrividire di fronte ai consigli che leggo a pagina 53 del numero del 30/04/2023, forniti da un Fisioterapista al lettore che si trova in procinto di sottoporsi ad un intervento di protesi d’anca e che esprime il proprio disagio logistico nel prevedere di programmare la successiva riabilitazione. Pur rappresentando ormai un intervento di routine, la sostituzione protesica dell’anca resta comunque un approccio chirurgico importante, cui deve seguire un adeguato percorso riabilitativo affinché l’intervento possa definirsi riuscito.
La Teleriabilitazione rappresenta sicuramente un’innovazione ed un’agevolazione logistica in determinate condizioni, ma nulla può prescindere da una approfondita valutazione Medico Fisiatrica ed un successivo diretto contatto con le mani del Fisioterapista.
Durante la pandemia, moltissime persone sono ricorse a varie proposte on line per fare esercizio e sopperire all’impossibilità di recarsi in palestra. Molte di queste persone rappresentano quelle che personalmente definisco “le altre vittime del Covid”: non avete idea di quanti di questi autodidatti dell’esercizio ginnico, in assenza di un appropriato trainer che correggesse i loro errori, hanno riempito le nostre agende di Visita ambulatoriale per i più svariati dolori secondari ai loro virtuosismi atletici! Proviamo ora a considerare la medesima situazione, ma partendo da un soggetto che è stato appena sottoposto ad un intervento ortopedico sull’anca e che, nella migliore delle ipotesi, ha potuto ottenere un ricovero riabilitativo post-chirurgico di un paio di settimane, ma più frequentemente può reputarsi fortunato se ha potuto fare riabilitazione per alcuni giorni. Non è pensabile che un tale paziente possa essere seguito a distanza, senza una preventiva valutazione del Medico Fisiatra e senza valutazioni almeno periodiche e ben cadenzate, sia da parte del Fisiatra stesso, sia del Fisioterapista. La Teleriabilitazione può consentire un monitoraggio del paziente, ma non può sostituire una manualità indispensabile. Sarebbe come dire che un intarsio sorrentino si equivale con un mobile industriale! La robotica, la realtà virtuale, l’exergaming devono rappresentare un metodo per realizzare un esercizio riabilitativo più intensivo, consentendo al paziente di proseguire con l’esercizio quotidiano al domicilio anche dopo la dimissione dalle terapie in presenza.
Al lettore che esprime preoccupazione sul proprio futuro riabilitativo mi preme suggerire di attivare il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata o, meglio ancora, cercare di realizzare una rete assistenziale intorno a sé comprensiva del trasporto presso una struttura riabilitativa ambulatoriale, perché i mezzi a disposizione in tale ambiente non sono certo riproducibili a domicilio.
Viviamo già in un Paese in cui la sovrapposizione di problemi linguistici e di normative fumose consentono di appellare “Dottore” chiunque abbia conseguito una Laurea Triennale in qualsivoglia Materia o Disciplina. Questo in ambito Sanitario genera non poca confusione dal momento che “Dottore” è sia il medico, sia l’infermiere, il fisioterapista, il tecnico radiologo, ma anche il laureato in Scienze Motorie o l’osteopata (che peraltro si fregia di un titolo che in Italia non è ancora conseguibile ma all’estero si).
Cerchiamo almeno di evitare ulteriore confusione ai poveri assistiti che detengono un assoluto diritto al miglior trattamento possibile. E il miglior trattamento possibile parte da una corretta e completa informazione che deve essere fornita al paziente.