L’Associazione Nazionale dei Fisiatri italiani (ANF) risponde con decisione al report della Fondazione GIMBE riguardo l’“accesso diretto alle prestazioni di fisioterapia”. Sebbene il medico fisiatra collabori quotidianamente e proficuamente con la categoria professionale dei fisioterapisti, è necessario chiarire le gravi problematiche che emergono da questo documento, che rischiano di alimentare una confusione pericolosa e potenzialmente dannosa per la salute dei cittadini. Il report, che apparentemente si propone di offrire una soluzione scientifica, solleva infatti più questioni etiche e professionali, suggerendo pratiche inadeguate e potenzialmente pericolose.
- Un grave conflitto di interesse:
Il report della Fondazione GIMBE è stato finanziato dall’Ordine dei Fisioterapisti Piemonte-Valle d’Aosta e redatto da un fisioterapista membro del comitato scientifico dello stesso GIMBE. Nonostante la dichiarazione di assenza di influenze nell’analisi dei dati, questo rappresenta un palese conflitto di interesse che mina la credibilità del documento. Questo legame stretto tra l’ente finanziatore e il comitato scientifico solleva serie perplessità sulla trasparenza delle conclusioni, distorcendo così un dibattito che dovrebbe rimanere neutrale e fondato su prove scientifiche oggettive.
- Un modello che alimenta la confusione e i rischi per la salute pubblica:
Il report promuove l’accesso diretto ai fisioterapisti, ma questa proposta solleva importanti preoccupazioni circa la sicurezza dei pazienti. In Italia, solo i medici sono autorizzati a fare diagnosi e a prescrivere trattamenti. Eliminare il ruolo del medico nella diagnosi e prescrizione per favorire un approccio che non prevede una valutazione clinica appropriata è pericoloso. Una diagnosi errata o imprecisa potrebbe esporre i pazienti a trattamenti inappropriati, aumentando i rischi per la salute. Il report, che si concentra solo ed esclusivamente su patologie muscoloscheletriche, ignora completamente l’importanza della diagnosi differenziale, che è cruciale per escludere altre condizioni più gravi e la possibilità che ci siano interventi anche non fisioterapici ai problemi dei pazienti (strumentali o di altri professionisti sanitari). Un approccio senza una valutazione medica completa è un rischio significativo per la sicurezza del paziente. L’idea di affidare a un fisioterapista la responsabilità di diagnosticare e gestire autonomamente questi disturbi è inaccettabile, in quanto non in linea con le normative sanitarie italiane, che richiedono competenze mediche per questi compiti.
- La superficialità degli studi citati nel report:
Il report si basa su una selezione di 30 studi, censiti fino all’ottobre 2024, In totale sono stati valutati e gestiti 35.802 pazienti attraverso un modello di accesso diretto in fisioterapia, mentre 10.367 pazienti sono stati valutati e gestiti mediante accesso su prescrizione medica, per un totale complessivo di 46.169 pazienti, che analizzano l’accesso diretto alla fisioterapia per problemi muscoloscheletrici, ma questi studi presentano gravi limiti metodologici. I dati sono eterogenei e non offrono un quadro chiaro né della gravità delle condizioni trattate, né della loro corretta gestione. In particolare, nessuno di questi studi confronta l’approccio con il filtro del fisiatra, il medico della riabilitazione, che svolge un ruolo fondamentale nel corretto orientamento del trattamento. Negli studi citati, si fa riferimento a fisioterapisti con curricula di formazione più avanzata rispetto a quelli previsti in Italia, chiamata extended scope practitioner, una figura esistente nei Paesi Bassi, che prescrive farmaci e esami, e che prevede 5 anni di formazione specialistica per le sole condizioni muscoloscheletriche, ma non si tiene conto che nel nostro Paese la formazione del fisioterapista è di soli tre anni dopo la scuola secondaria, ben lontana da quella richiesta per un’assunzione di responsabilità clinica di tale portata. Nel nostro Paese l’Art. 348 del codice penale sancisce: “Nessuna attività diagnostica o prescrittiva può essere fatta da chi non è abilitato all’esercizio della professione medica, essendo irrilevante che siano seguiti i principi della medicina non convenzionale o della medicina tradizionale”. Si ricorda che in Italia l’ambito operativo di ogni professionista sanitario è regolato da leggi e ordinamenti che definiscono chiaramente cosa può e non può fare sulla base delle conoscenze acquisite e certificate nel percorso formativo effettuato (3 anni per laurearsi in fisioterapia, 10 anni per specializzarsi in Medicina Fisica e Riabilitativa), deve perciò operare nel rispetto delle normative legali e delle competenze specifiche. Inoltre siamo in pieno contrasto con quanto stabilito nell’accordo Stato Regioni col PINDRIA., il Piano di Indirizzo della Riabilitazione – sottoscritto da 27 Società Scientifiche e Associazioni, fra le quali AIFI, l’Associazione Italiana Fisioterapisti – che ratifica: “si accede ai Percorsi riabilitativi ambulatoriali tramite visita del Medico Specialista in Riabilitazione su richiesta del Medico di Medicina Generale (MMG) o del Medico Pediatra di Libera Scelta (MPLS)” (PINDRIA cap. 4 pag. 18).
- Il rischio di una gestione inefficace e costosa delle risorse sanitarie:
Il modello proposto nel report rischia di aumentare inutilmente i costi sanitari, senza migliorare i tempi di attesa né la qualità delle cure. La fisioterapia, pur essendo una parte fondamentale della Medicina Fisica e Riabilitativa, non può essere considerata un processo isolato. È necessaria una gestione integrata dei percorsi riabilitativi che coinvolga diverse figure professionali, tra cui il fisiatra, che indirizza correttamente il trattamento in base alla valutazione complessiva del paziente. Il report del GIMBE non prende in considerazione che l’accesso diretto potrebbe portare a un uso improprio delle risorse sanitarie, in quanto i fisioterapisti potrebbero sentirsi chiamati a trattare casi che richiedono competenze mediche più approfondite, oppure trattamenti diversi, con conseguente aumento dei costi e della durata dei trattamenti. Inoltre, il report menziona un costo di 29,5 euro per visita fisioterapica, una cifra ampiamente sottostimata per la realtà italiana. Ogni ciclo di trattamento fisioterapico prevede generalmente almeno 10 sedute, aumentando in modo significativo il costo complessivo. Se il filtro del medico viene eliminato, è molto probabile che molti pazienti vengano indirizzati verso inutili cicli lunghi e costosi di fisioterapia, anche quando un trattamento alternativo o più mirato sarebbe stato sufficiente. Inoltre, se l’accesso diretto non viene correttamente gestito, i pazienti potrebbero non ricevere la valutazione medica completa, ritardando l’identificazione di eventuali condizioni più gravi che richiederebbero trattamenti diversi o l’intervento di specialisti. Questo non solo aumenta i costi per il sistema sanitario, ma potrebbe anche portare a un allungamento delle tempistiche per il recupero, con effetti negativi sul benessere dei pazienti.
- L’importanza di un approccio multidisciplinare e rispettoso delle competenze e dei bisogni delle persone:
Tutta la rassegna tratta di casistica assai poco patologica dato che l’analisi riporta che per la maggior parte i pazienti studiati non hanno avuto bisogno di accertamenti diagnostici, di consulti medici, di farmaci. Data la lontananza dal quadro reale della disabilità di cui si fa carico la riabilitazione, ci viene da pensare che quanto riportato nello studio richieda interventi prevalentemente di prevenzione, di educazione e suggerimenti di stili di vita, che possono essere approntati, oltre che dal medico in prima visita, anche da altri operatori come terapisti occupazionali, laureati in scienze motorie, o per la prevenzione, osteopati. Professionisti che non vengono considerati nel report e che potrebbero essere più appropriati. L’ANF ribadisce che il ruolo del fisioterapista deve essere inserito all’interno di un contesto multidisciplinare, dove la competenza medica del fisiatra è fondamentale per una gestione sicura e adeguata delle condizioni di salute del paziente. L’accesso diretto ai fisioterapisti, come proposto dal report, non risolve il problema dell’efficienza del sistema sanitario, ma lo complica, aggravando la confusione sui ruoli e mettendo a rischio la qualità delle cure.
- Conclusioni:
Il report della Fondazione GIMBE, finanziato da un ente con evidenti conflitti di interesse e scritto da un fisioterapista, rischia di alimentare l’attuale caos organizzativo nella gestione della salute dei cittadini. Promuovere l’accesso diretto alle prestazioni di fisioterapia senza una diagnosi medica adeguata è una proposta che va contro le normative sanitarie e potrebbe compromettere seriamente la sicurezza dei pazienti. L’ANF respinge fermamente questa proposta, che non tiene conto delle complessità della gestione delle condizioni di salute dei cittadini e dei ruoli ben definiti dei professionisti sanitari nel nostro Paese. L’accesso diretto, come descritto nel report, non risolve i problemi di attesa, ma li sposta in modo pericoloso, ignorando le competenze mediche necessarie per una corretta diagnosi e trattamento. La salute è una questione seria, e ogni proposta che riguarda la gestione delle cure deve rispettare le normative esistenti e tutelare i diritti e la sicurezza dei pazienti. Il report del GIMBE, se applicato, potrebbe solo generare confusione, inefficienza e rischi per i cittadini. ANF è sempre assai preoccupata per le lunghe attese nella presa in carico riabilitativa (di visite, accertamenti diagnostici, terapie), vuole eliminarne la burocratizzazione, sapendo che sia in fase acuta che nella cronicità occorre tempestività, focalizzazione degli obiettivi e individualizzazione dei trattamenti e monitoraggio continuo.
Per questi motivi, a fronte di una vetusta modalità di lavoro a cicli di prestazioni proposta anche dall’attuale Nomenclatore, ANF sta portando avanti le richieste della presa in carico a pacchetti di prestazioni, tagliata su misura sui bisogni del paziente, che offrirà maggiore appropriatezza ed efficacia degli interventi e risparmio della spesa.
