di Paolo Di Benedetto
Caso clinico
Uomo di 62 anni che lamenta in anamnesi una diagnosi di Artrite Reumatoide, posta nel 1982: artrite assai aggressiva che ha interessato tutte le principali articolazioni (spalle, mani, coxo-femorali e ginocchia).
Il 4.9.2018 in seguito a caduta accidentale, riportava un danno midollare cervicale in una già presente stenosi del canale vertebrale cervicale: operato di laminectomia C4-C5 e decompressione midollare, veniva poi inviato in una Unità Spinale per il trattamento riabilitativo. La degenza riabilitativa si protraeva sino al 30.03.2019. Alla dimissione, la diagnosi era di “Tetraplegia incompleta (ASIA C con livello neurologico in C4) da mielopatia spondilogena cervicale. Artrite reumatoide di grave entità”.
Il trattamento farmacologico all’atto della mia osservazione era il seguente:bisoprololo 1,25 mg 1c/die; metilprednisolone 4 mg 1c/die; methotrexate 10 1 fl im ogni 3 settimane; ac. folico 5 1c il giorno dopo la somministrazione del methotrexate.
L’autonomia del paziente era gravemente limitata: la manualità della mano sin era parzialmente conservata; utilizzava la carrozzina elettrica, comandata tramite joystick.
Il quadro vescico-sfinterico era caratterizzato da una areflessia-acontrattilità detrusoriale con ovvia ritenzione urinaria completa. L’acontrattilità detrusoriale potrebbe essere spiegata con una sovradistensione vescicale accusata all’inizio del danno midollare.
La gestione vescicale era assicurata dal cateterismo intermittente, eseguito dalla moglie 6 volte al dì (ore 3-7-11-15-19-23).
La pressione arteriosa massima normalmente non superava i 100 mm/Hg.
Il paziente si è presentato alla mia attenzione il 23.09.2019 lamentando da almeno tre mesi cefalea intensa in occasione del cateterismo notturno delle ore 3.
La pressione arteriosa max viene riferita, in concomitanza alla cefalea, sempre superiore a 150 mm/Hg, raggiungendo un picco di 219 mm/Hg.
La cefalea e l’accesso ipertensivo recedevano con lo svuotamento vescicale e con la stazione semi-seduta (peggiorando con la posizione supina).
Per tale motivo il paziente ha interpellato, prima della mia osservazione, due cardiologi, un internista, un fisiatra ed un urologo, senza ricevere un risposta adeguata al problema.
Sulla base della descrizione anamnestica e tenendo conto del livello lesionale, è stata posta dallo scrivente diagnosi di “Sindrome da disreflessia autonoma” (vedasi bibliografia).
La somministrazione di doxasozina ( inizialmente 2 mg, indi 4 mg alla sera) ha permesso di tenere sotto controlo il problema (solo una volta la PA max ha raggiunto 140 mm/Hg; con la somministrazione di 4 mg, riferita scomparsa della cefalea e PA max mai superiore a 120 mm/Hg).
Il passo successivo sarà quello di modificare il ritmo quotidiano del cateterismo intermittente (4 volte al dì: ore 6,12,18 e 24) per permettere al paziente ed alla moglie un riposo nottuno piuù regolare.
Disreflessia autonoma
La disreflessia autonoma o autonomica (DA) è una sindrome di non infrequente riscontro in soggetti con lesione midollare al di sopra di T6 ed è caratterizzata da intense manifestazioni simpatiche riflesse in risposta a stimoli innocui per soggetti normali.
Il quadro clinico è dominato da crisi ipertensive parossistiche in soggetti normalmente ipotesi, accompagnate per lo più da cefalea (di intensità variabile) e da altri sintomi/segni, quali disturbi del ritmo cardiaco (per lo più bradicardia), iperidrosi e vasodilatazione sovralesionale.
Le cause scatenanti sono molteplici (tab. 1): nel caso specifico verosimilmente la causa scatenante era determinata dalla semplice distensione vescicale.
Tab. 1 – Eziologia della Disreflessia Autonoma
Distensione vescicale
Fecalomi
Catetere uretrale malfunzionante
Dilatazione uretrale (esame urodinamico); dissinergia detrusore-sfintere
Infezione urinarie; epididimite
Calcolosi reno-ureterale
Elettroeiaculazione
Contrazioni uterine
Stimolazioni cutanee (ustioni, unghia incarnita, emorroidi); ulcere da decubito
Addome acuto
Interventi chirurgici sottolesionali
Trombosi venosa profonda (embolia polmonare)
Attività fisica (talvolta anche semplici cambiamenti posturali)
Il presupposto essenziale della DA è costituto dal venir meno del controllo encefalico sui centri simpatici sublesionali. Gli impulsi sensitivi, dopo aver raggiunto il midollo spinale, ascendono lungo il midollo causando in via riflessa risposte somatiche (definite un tempo “mass reflex”) e simpatiche (vasocostrizione a livello di organi splancnici e di arti inferiori).
Ne consegue una ipertensione arteriosa con simultanea distensione del seno carotideo e dell’arco aortico e successiva stimolazione dei barorecettori ivi situati. Le fibre afferenti, a partenza da questi barorecettori, decorrono nei nervi cranici IX e X e terminano nell’area depressoria del centro vasomotore e nel centro cardioinibitore del vago, la cui stimolazione provoca bradicardia, soprattutto se la lesione è situata fa il I e il VI mielomero dorsale. L’ipertensione arteriosa può persistere in quanto la vasodilatazione sottolesionale è impossibile, essendo interrotte le vie simpatiche midollari in seguito alla transezione midollare (Fig. 1).
Il piano di trattamento della DA deve essere rivolto essenzialmente alla prevenzione e alla attenuazione/rimozione delle possibili cause scatenanti.
Qualora gli episodi disreflessici si manifestino in forma acuta, in attesa di accertare e rimuovere le cause, è necesario instaurare un opportuno trattamento con il fine di attenuare i sintomi ed evitare possibili complicanze (Fig.2).
- Monitorara pressione arteriosa e polso;
- Mantenere il paziente in posizione almeno semiseduta o, quando possibile, eretta per indurre una risposta ipotensiva ortostatica;
- Interrompere ogni attività del paziente e, in particolare, qualsiasi esame strumentale;
Qualora la sintomatologia persista (dopo aver escluso o corretto i problemi più frequenti, a livello vescico-uretrale e rettale), è indicata la nifedipina (orale o sublinguale).
In parecchi casi la DA è presente in forma cronica e subdola con qualche manifestazione che può essere utile al paziente (per esempio iperidrosi, vasodilatazione ed accenno a cefalea quali equivalenti di uno stimolo minzionale): in questi casi, soprattutto nel soggetto di sesso maschile, è utile ricorrere agli alfa-litici per attenuare la vasocostrizione a livello sottolesionale e la componente autonomica della dissinergia detrusore-sfintere.
Considerazioni cliniche
- Il caso clinico descritto è abbastanza atipico, in quanto la lesione midollare è incompleta e, soprattutto, in quanto è presente una areflessia-acontrattilità detrusoriale (verosimilmente causata da una pregressa sovradistensione vescicale). E’ noto che la dissinergia detrusore-sfintere può essere una concausa importante nel determinismo della sindrome.
- La DA deve obbligatoriamente essere conosciuta non solo dai paraplegisti, ma da tutti i fisiatri (spesso la sindrome si manifesta nel corso delle sedute riabilitative!).
- La Da è nota agli urologi, ma deve essere conosciuta anche dai medici di medicina generale dei soggetti con lesioni midollari e dai medici del Pronto Soccorso.
- Non è possibile, infine che al giorno d’oggi non sia conosciuta dai neurologi e dai cardiologi!
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