Il Piano di indirizzo per la Riabilitazione, il Progetto Riabilitativo Individuale e l’importanza dei PERCORSI RIABILITATIVI

Anno: 2024 - Vol 9 / Fascicolo: 17 / Periodo: ott-dic

Autori:

Giovanni Santangelo

Direttore Sanitario Centro di riabilitazione accreditato Cefim Caserta

ANF – Associazione Nazionale Fisiatri


.

Il Piano di Indirizzo per la Riabilitazione, emanato dal Ministero della Salute nel lontano febbraio 2011, aveva il compito, una volta recepito dalle realtà regionali di uniformare gli interventi riabilitativi su tutto il territorio nazionale.

Formalmente quasi tutte le regioni hanno trattato i temi proposti dalle vecchie linee guida nazionali e talune emanando proprie linee guida, generando molteplici unità di offerta, anche con denominazioni differenti. Tali unità non sono facilmente confrontabili per la mancanza di dati quantitativi riferibili a requisiti strutturali e/o organizzativi.

Molte delle normative emanate non hanno ancora trovato applicazione per mancanza di strumenti attuativi.

Inoltre, la continuità assistenziale è spesso ottenuta attraverso la somma di molti interventi singoli non realizzando una completa e precoce presa in carico globale della persona.

Persiste confusione o sovrapposizione tra lungodegenza e riabilitazione estensiva.

I volumi di attività e la distribuzione di servizi sono molto sbilanciati fra le diverse regioni o verso risposte prevalenti in regime di ricovero o verso risposte prevalenti in regime ambulatoriale.

Tutti questi punti deboli ancora creano difformità di risposta ai bisogni riabilitativi su tutto il territorio nazionale.

Il Piano di Indirizzo per la Riabilitazione prevedeva quindi varie novità.

Dapprima il modello bio-psico-sociale che pone al centro del sistema il cittadino paziente e il suo contesto familiare nella loro interazione con l’ambiente sociale e con le istituzioni orientando conseguentemente tutte le attività rispetto a tale priorità e verificandone i risultati.

La necessità di un team riabilitativo composto da professionisti che possono essere ricompresi in due differenti specificità in base al percorso formativo: professionisti della riabilitazione, quali in primis il medico specialista in riabilitazione e i professionisti sanitari non medici identificati nel D.M. 29 marzo 2001; il personale con specifica formazione riabilitativa in ambito socio-sanitario-assistenziale ed inoltre vi rientra a pieno titolo il Caregiver, familiare o persona di riferimento coinvolto nella presa in carico della persona disabile ai fini della gestione delle sue problematiche attuali e future.

Il compito del medico specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione è quello di stilare il Progetto Riabilitativo Individuale (PRI).

Il PRI è mirato al recupero dell’autonomia nelle attività di vita quotidiana e lavorative ed inoltre all’incremento della partecipazione sociale; il suo scopo è di soddisfare le esigenze della persona con una particolare enfasi sulle sue aspettative e sulla qualità di vita. 

Il Progetto Riabilitativo Individuale è quindi lo strumento per “progettare l’autonomia” e viene elaborato dall’equipe interdisciplinare insieme con la persona e la sua famiglia ed ha un solo responsabile che è il medico Specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione.

L’elaborazione di un progetto prevede quindi varie fasi:

  1. la visita medica specialistica del medico Fisiatra volta a identificare i problemi e le loro cause;
  1. la definizione degli obiettivi (elaborata dall’esito delle visite specialistiche, delle valutazioni del personale tecnico sanitario laureato e delle aspettative e esigenze della persona) con la definizione dei tempi previsti per raggiungerli e i rispettivi indicatori di esito (ovvero parametri o scale cliniche che misurano e dimostrano il livello di raggiungimento degli obiettivi);
  1. la scelta del “setting” (luogo dove effettuare la riabilitazione che può essere in regime di ricovero, ambulatoriale o domiciliare). La scelta di quest’ultimo riabilitativo dipende da vari fattori: grado di disabilità del paziente; condizioni cliniche; disponibilità logistiche (possibilità di trasporto o ad esempio impegni di lavoro); necessità di assistenza infermieristica continua; necessità di attrezzature; valutazione dei vantaggi e degli svantaggi di ogni setting;
  1. la definizione dei singoli programmi riabilitativi, che compongono il PRI, che comprende: la descrizione degli interventi; l’individuazione degli operatori; determinazione delle modalità e tempi di erogazione; definizione delle misure di esito per valutare l’efficacia dei programmi.

Durante l’attuazione del PRI deve essere previsto un monitoraggio per potere modificare e adattare il progetto ad eventuali cambiamenti e nuove esigenze della persona. 

Difatti la verifica finale permette di valutare il raggiungimento degli obiettivi e l’efficacia del PRI.

Il trattamento riabilitativo effettuato tramite progetti riabilitativi condivisi con il cittadino paziente comporta una precisa definizione degli obiettivi e di conseguenza la definizione della tempistica necessaria per raggiungere tali obiettivi. 

Appare alla luce di quanto finora esplicitato che le prescrizioni di un determinato numero prestabilito di singole sedute al di fuori di un Progetto Riabilitativo è spesso afinalistico (senza obiettivi definiti), potenzialmente non efficace   e senza la possibilità di verificarne l’utilità o la adeguatezza come numero. 

I problemi ed i bisogni riabilitativi e sociali iniziano al momento della diagnosi ed accompagnano il paziente per tutta la durata della malattia, ma sono differenti e mutevoli nelle varie fasi della malattia, soprattutto nel caso di patologie semplici (ad esempio fratture monosegmentarie) che di patologie complesse (ictus, sclerosi multipla).

Il Progetto Riabilitativo ed i suoi interventi, sviluppati attraverso i programmi di cui è composto, sono giocoforza differenti nelle varie fasi della patologia di cui è affetto il paziente (dalla diagnosi alle fasi avanzate), perché i bisogni sono differenti. 

Non vi è quindi una riabilitazione standard, i bisogni sono differenti e quindi di conseguenza i Progetti Riabilitativi con i loro programmi sono personalizzati, o meglio ancora “sartorializzati” sulla persona che si ha di fronte, sulle sue aspettative di vita e sulla sua interazione sociale.

A tal proposito, si rappresenta che, secondo quanto previsto dal Piano di indirizzo per la

Riabilitazione, la creazione del percorso unico integrato all’interno della rete riabilitativa mira ad introdurre un’organizzazione più efficiente del servizio a maggior tutela del paziente, individuando le dimensioni che, opportunamente combinate, permettono di individuare il setting più appropriato in relazione alla fase del percorso di cura e prevedendo l’utilizzo di adeguati strumenti di valutazione per monitorare, in ambito dipartimentale, le fasi di passaggio tra i diversi setting riabilitativi.

A riprova di ciò, le stesse Linee di indirizzo nazionale impegnano le amministrazioni regionali e provinciali, che già disponevano di risorse riabilitative, a metterle in rete, organizzando i percorsi riabilitativi, lasciando, però, loro “l’autonomia (…) nell’adottare le soluzioni organizzative più idonee in relazione alle esigenze della propria programmazione”.

Il percorso riabilitativo unico tuttavia, tramite la stesura del Progetto Riabilitativo

Individuale (PRI), redatto previa valutazione multidimensionale dei bisogni del paziente, e la definizione del programma riabilitativo, come definito dal piano di indirizzo per la riabilitazione 2011, specifica le modalità di presa in carico da parte di una determinata struttura o professionista nel rispetto dei criteri dell’accreditamento; obiettivi da raggiungere a breve e medio termine; modalità e tempi di erogazione delle singole prestazioni previste; misure di esito atteso appropriate per la valutazione degli interventi; tempi di verifica e conclusione.

Pertanto, ogni Progetto Riabilitativo, redatto secondo i criteri dell’efficacia e dell’appropriatezza, è unico e risponde alle esigenze di uno specifico utente che deve essere seguito durante tutto il percorso e monitorato tramite le scale di valutazione validate di inizio e fine progetto.

Il Progetto, dunque, tiene conto dei bisogni globali del paziente, delle specifiche menomazioni, disabilità complesse e a lento recupero o segmentarie e transitorie e, in particolar modo, delle abilità residue e recuperabili.

Nel definire gli esiti desiderati del paziente e dell’equipe riabilitativa, il Progetto stabilisce il ruolo che quest’ultima riveste; definisce, nelle linee generali, gli obiettivi a breve, medio e lungo termine nonché tempi e modalità di erogazione di specifici trattamenti e prestazioni da erogare, nonché la loro verifica.

Nel Piano di Indirizzo per la Riabilitazione vengono distinte due tipologie di utenti definite in base a differenti bisogni e livelli di intervento riabilitativo indipendentemente dalla fascia di età di appartenenza: caso complesso (utenti affetti da menomazioni e/o disabilità importanti, spesso multiple, con possibili esiti permanenti, elevato grado di disabilità nelle

ADL che richiedono un team multi professionale – almeno 3 tipologie di professionisti della riabilitazione, compreso, come già espresso, il medico specialista in Medicina Fisica e riabilitazione, che ha il compito di effettuare una presa in carico onnicomprensiva nel lungo termine mediante un Progetto Riabilitativo Individuale che preveda molteplici programmi terapeutici); caso non complesso: (utenti affetti da menomazioni e/o disabilità di qualsiasi origine che, sulla base di un Progetto Riabilitativo Individuale, redatto sempre dal medico specialista in Medicina Fisica e Riabilitazione, necessitano di un solo programma terapeutico riabilitativo erogato o direttamente dal medico specialista in riabilitazione, con interventi farmacologici, di medicina interventistica ecc., o tramite il PRI da un’unica tipologia di professionista della riabilitazione).

Per le ragioni suesposte, dunque, il Progetto Riabilitativo Individuale ed i programmi riabilitativi di cui si compone, essendo elaborato sulla base delle specifiche esigenze dell’assistito, non può in alcun caso prevedere una tariffazione unitaria e aprioristicamente determinata, anche in considerazione delle eterogeneità delle esigenze assistenziali che caratterizzano i casi dei singoli pazienti.

D’altronde anche nel caso di patologie minimali, dove abbiamo già definito che il PRI richiede un semplice programma e spesso l’impegno di un solo tecnico sanitario laureato, la necessità di organizzare il tutto seguendo la medesima logica appare palese.

Ma così come nelle patologie complesse la tariffazione è scorporata dal Progetto Individuale prevedendo dei costi previsti per le attività impiegate, anche per le patologie semplici andrebbe indicato un costo relativo alle attività.

Quindi in poche parole, la remunerazione non può andare di pari passo con i codici previsti dal nomenclatore esclusivamente per singola prestazione, ma in base alla disabilità, al setting operativo e alla durata della prestazione, come richiesto dal PRI.

Di sicuro il sistema della riabilitazione al giorno d’oggi non può più prevedere il ricorso a singole prestazioni codificate da un nomenclatore che, nonostante le continue seppur tardive revisioni, mostra il fianco a critiche soprattutto per l’inadeguatezza della visione unica del paziente a cui si deve dare una risposta ad un bisogno riabilitativo, ma in riabilitazione deve quindi essere superato il sistema prestazionale a favore della presa in carico riabilitativa con l’introduzione dei percorsi riabilitativi.

Total
0
Shares
2 comments
  1. Caro Giovanni purtroppo la regionalizzazione della sanità voluta dalla sinistra con la riforma costituzionale del 2001 ha comportato la nascita di 21 SSR e nei lavori si partì proprio nel chiedere alle Regioni l’attuazione delle linee guide del 1998 e nel piano (i particolari sul Quaderno della Salute n 8) sono evidenziate le gravi difformità fra regione e regione pure sulle tipologie dei reparti in base agli stessi codici ministeriali. E quindi tememmo che il Piano di Indirizzo avrebbe subito lo stesso destino e quindi si chiese di creare una commissione/gruppo di lavoro che potesse supportare le Regioni a realizzare il PINDRIA e la Conferenza delle Regioni dette pure il parere positivo ma il governo poi cadde e quindi non fu realizzato. Riguardo alla definizione fra Lungodegenza e Riabilitazione (estensiva) la Commissione affrontó il problema specialmente nell’’indicare la differenza fra lungodegenza medica e lungodegenza riabilitativa ma in sede di lavoro i rappresentanti del ministero dissero in modo esplicito che non era fra gli obiettivi della missione e che si rischiava di bloccare tutto il piano se si fosse affrontato quell’argomento. Ho voluto fare questo commento in quanto la memoria storica è fondamentale per procedere prima che spariscano del tutto chi partecipó a quei lavori. Naturalmente dal 2011 molta acqua è passata sotto i ponti e sono subentrati nei lavori ministeriali molti altri colleghi con sensibilità diverse. Naturalmente oggi con la legge sull’AUTONOMIA la situazione è secondo me peggiorata ed il rischio di tornare all’Italia pre 1861 è una realtà da combattere

  2. Certo che si devono attuare i percorsi ,a tal fine consiglio di leggersi il documento simfer sul territorio approvato dal consiglio direttivo simfer sotto la Presidenza del dott.Fletzer. lo trovate sul blog della simfer

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts

Iscriviti alla Newsletter!