NOZIONI DI BASE SUL SEGRETO PROFESSIONALE
di Francesca Santangelo ed Accursio Miraglia
Generalità
È indubbio che rivolgersi ad un avvocato, ad un medico e, in genere, ad un professionista vuol dire instaurare con questi un rapporto di affidamento e di fiducia, in virtù del quale quest’ultimo si viene a trovare nella condizione di poter apprendere, vedere o anche solo intuire aspetti strettamente personali dell’utente o dei suoi familiari. Riponendo la fiducia nel professionista, ci si aspetta, quindi, che quest’ultimo non solo svolga la propria attività con diligenza ed attenzione ma garantisca anche la segretezza di quanto ha appreso nell’esercizio della stessa evitando, ad esempio, di esporre pubblicamente la documentazione o i nomi degli utenti o avendo cura di rilasciare eventuali documenti ai diretti interessati (o a chi è espressamente delegato) in busta chiusa.
In poche parole, ogni professionista è tenuto a garantire il segreto professionale. Ma di cosa si tratta?
Definizione
Il segreto, inteso alla lettera, è ciò che è tenuto nascosto. In senso giuridico, è ogni fatto che, per disposizione di legge o per decisione di una volontà giuridicamente autorizzata, è destinato a rimanere nascosto a qualsiasi persona diversa dal legittimo depositario (Cass., sez. III, n. 2393/1967).
In ambito sanitario mantenere il segreto significa tutelare la riservatezza del paziente in relazione a dati ed informazioni attinenti il suo stato e le sue condizioni psico-fisiche. Tale tutela è molto importante e serve a non instillare in ognuno la preoccupazione di veder diffondere notizie proprie e riservate.
Oggetto del segreto
Oggetto del segreto sono fatti e notizie in genere concernenti la sfera personale: stato di salute, famiglia, preferenze sessuali, ecc… di cui il sanitario è venuto a conoscenza nell’esercizio formale o informale della sua professione, ma tuttavia sempre in ragione della stessa (ciò perché ogni confidenza fatta dall’assistito, anche nella circostanza di un incontro occasionale, viene fatta al professionista in quanto tale fidandosi della sua discrezione).
Non è rilevante la modalità con cui il sanitario viene a conoscenza delle informazioni riservate dell’assistito, che può avvenire in via diretta (es. raccogliendo l’anamnesi, esaminando i risultati di esami e test) o in via indiretta (mediante le confidenze ricevute dal cliente o dai suoi familiari).
Il titolare del diritto
L’unico soggetto in grado di poter decidere di divulgare l’informazione è il suo titolare, cioè il paziente. Il riserbo deve essere mantenuto anche nei confronti dei familiari della persona.
Codice di deontologia, Codice penale e Codice civile
Il segreto professionale è rilevante sia sotto il profilo deontologico sia sotto il profilo giuridico.
Nel codice di deontologia medica, le norme di comportamento professionale che lo compongono, se violate, possono determinare l’applicazione di sanzioni disciplinari a seguito dell’instaurazione del relativo procedimento avviato dall’Ordine di appartenenza. L’Ordine ha piena autonomia di giudizio in relazione agli aspetti etici e deontologici del comportamento del medico ed il suo esame non riguarda gli aspetti civili e penali della vicenda.
In tal senso l’art. 10 afferma che il medico deve mantenere il segreto su tutto ciò di cui è a conoscenza in ragione della propria attività professionale. Tale obbligo non viene meno in caso di sospensione o interdizione nonché nel caso di cancellazione del sanitario dall’Albo presso il quale è iscritto e persino neppure nell’ipotesi di morte della persona assistita. Lo scopo della norma deontologica è quello di evitare che il medico, anche se non più professionalmente in attività, possa utilizzare le notizie acquisite durante la propria vita professionale in modo distorto.
Non basta che il medico si limiti a mantenere il segreto professionale in prima persona, ma è necessario che lo stesso informi i suoi collaboratori e i suoi discenti di tale obbligo e ne solleciti il rispetto.
In sede penale, la rivelazione del segreto professionale è fonte di responsabilità per chi rivela un segreto, avendone avuto notizia in virtù del proprio stato, ufficio, professione o arte (Cfr. art. 622 cod. pen.). La norma penale si rivolge ai professionisti in senso lato, senza farne un’elencazione tassativa.
Sono tenuti a mantenere il segreto, dunque, non solo i medici, ma anche gli studenti universitari di Medicina e Chirurgia o delle altre professioni sanitarie che svolgono tirocini presso strutture ospedaliere, gli assistenti volontari, i medici in formazione specialistica, i componenti delle loro famiglie e in generale tutti coloro che siano venuti a conoscenza di informazioni soggette a segreto, compreso chi svolge attività di segreteria presso gli studi medici.
Si ha reato sia nell’ipotesi in cui il professionista impieghi il segreto a profitto proprio o altrui, cioè quando dall’impiego riesca a ricavare qualsiasi vantaggio, anche non patrimoniale, sia nell’ipotesi in cui lo riveli senza giusta causa e cioè quando la rivelazione viene fatta arbitrariamente e non c’è un altro interesse che, messo sulla stessa bilancia, “pesi” più di quello del titolare.
La punibilità della condotta illecita è legata anche solo alla possibilità del verificarsi di un nocumento, e non necessariamente al fatto che lo stesso abbia luogo. Perché ci sia reato, quindi, il paziente non deve necessariamente aver subìto il danno, ma è sufficiente che sia posto nella condizione di poterlo subire.
La rivelazione di segreto
La rivelazione di notizie riservate può essere fatta con parole, scritti, gesti o allusioni e, al fine di costituire un illecito, è sufficiente che venga fatta anche soltanto ad una persona.
Il reato si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica il pericolo di nocumento e richiede il dolo generico, cioè la volontà di rivelare o utilizzare il segreto per un proprio od altrui profitto, unitamente alla coscienza del fatto che si agisce in assenza di una giusta causa di rivelazione.
Tuttavia, anche qualora si accerti che la condotta di “rivelare” non sia accompagnata dalla presenza del dolo e che la stessa sia avvenuta per negligenza, vi possono essere delle conseguenze in sede civile, in quanto l’art. 2043 del codice civile dispone l’obbligo di risarcimento in seguito a qualunque fatto anche colposo che cagiona un danno ingiusto a terzi. Se quindi penalmente il comportamento illecito può essere conseguente solo ad una condotta volontaria e quindi di dolo del professionista, civilisticamente invece basta per far nascere l’obbligo al risarcimento una condotta colposa, imprudente o negligente.
La pena prevista è quella della reclusione fino ad un anno o, in alternativa, con la multa da 30€ a 516 € ed è punibile a querela della persona offesa.
Le deroghe all’obbligo di mantenere il segreto professionale
L’obbligo di mantenere il segreto professionale per il sanitario è un dovere primario che diventa secondario solo quando sia necessario salvaguardare un interesse superiore o la vita e la salute di un terzo.
Quali sono le giuste cause di rivelazione del segreto professionale che consentono di escludere la punibilità? In primis quando è il legislatore a prevedere l’obbligo di rivelare il segreto: ciò avviene in riferimento all’obbligo di referto, alle denunce sanitarie obbligatorie, ai certificati obbligatori, alle denunce giudiziarie, alla perizia ed alla consulenza tecnica, alle visite fiscali, alle visite medico-legali effettuate per conto della magistratura o di compagnie di assicurazione, agli arbitrati o alle ispezioni corporali ordinate dal giudice. In tutti questi casi l’obbligo di rivelare il segreto risponde all’esigenza di salvaguardare interessi della collettività che sono destinati a prevalere su quelli del titolare.
Non è punibile il medico che renda noto il segreto con il consenso dell’avente diritto (art. 50 c.p.) cioè del paziente o del suo legale rappresentante (es. il genitore o il tutore) nè il medico che agisce nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica autorità (art. 51 C. p.). Ancora, non vi è reato se il medico ha commesso il fatto per un caso fortuito (es. furto dello schedario) o per forza maggiore (art. 45 c. p.) o per costringimento fisico (art, 46 c.p.) o per errore di fatto (art. 47 c. p.) o per errore determinato dall’altrui inganno (art. 48 c. p.). Inoltre, costituisce causa di giustificazione per il medico anche l’aver agito per legittima difesa (art. 52 c. p.) cioè per la necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta o per lo stato di necessità (art. 54 c. p.) di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alle persone, pericolo da lui non volontariamente causato, né in altro modo evitabile.
L’importanza del segreto professionale è tale che si ritiene necessario garantirla anche in sede processuale, cioè nelle aule del tribunale, nelle quali i sanitari possono esercitare il diritto di astenersi dal testimoniare, non potendo essere obbligati a deporre su quanto hanno appreso per ragione della propria professione, salvi i casi di obbligo di referto all’autorità giudiziaria (art. 200 c.p.p.).
Trasmissione di segreto
Non incorre nel reato di rivelazione di segreto professionale, ma trasmette in modo lecito le notizie, il sanitario che renda partecipi del segreto altre persone interessate allo stesso caso, a loro volta vincolati al segreto per ragioni di professione o di ufficio.
La trasmissione di segreto è lecita se se il passaggio di notizie sia reso necessario da motivi sanitari, organizzativi o amministrativi, se avviene con il consenso implicito o esplicito dell’assistito e nel suo esclusivo interesse ed a patto che la conoscenza delle notizie trasmesse rimanga circoscritta nell’ambito dei servizi sanitari e assistenziali interessati.