Mi stavo recando dal mio macellaio di fiducia, persona attenta e, soprattutto, profondo conoscitore delle migliori chianine di sicura provenienza, quando sul mio cellular arriva l’articolo di un fantastico intellettuale che, con la tipica presunzione degli ignoranti in mala fede, articola un discorso teso a dimostrare che anche il fisioterapista puó fare la diagnosi , o meglio, il medico fá la diagnosi medica (bontá sua) ed il fisioterapista fá la diagnosi fisioterapica.
In quell preciso istante, entrando in macelleria, il mio fido fornitore mi salute dicendomi “dottore meno male che sei passato, ho un mal di schiena che non capisco da dove viene…”
Ed io di rimando “e non hai fatto niente? “ Ed il macellaio mi rimbrotto dicendo che se uno non sá cosa ha che terapia deve fare?
Fulminato dalla precisione del mio paziene/macellaio , pensavo come si possa invece raggiungere una pericolositá sociale da parte di alcuni presuntuosi spacciatori di cultura di mercato a basso prezzo.
Ma, in fondo, cosa é mai la DIAGNOSI?
(DA WIKIPEDIA)
Il termine è frequentemente usato in medicina umana, …….. Serve a riconoscere una malattia …….. (categoria) in base a dei sintomi o dei “segni” (fenomeni), i primi manifestazioni soggettive presenti nel paziente, i secondi evidenti anche al medico …………. L’insieme dei sintomi e segni di cui alcuni specifici detti patognomonici ed altri più o meno generici, caratterizza il quadro clinico di una malattia.
……. il concetto di diagnosi come identificazione di una patologia riguarda soltanto l’ambito biomedico e, anche in ambito medico, è praticabile solo in alcuni settori e per alcune patologie, non in tutte le branche della medicina e per tutte le malattie.[3]
L’insieme dei metodi di diagnosi si chiama diagnostica. La diagnostica è detta “strumentale” quando si avvale di apparecchiature o strumenti particolari come nella diagnostica per immagini (es. ecografia, endoscopia, radiologia, ecc.) o “clinica” (dal greco klìne, letto) quando si basa sull’esame diretto del paziente da parte del medico.
Il procedimento diagnostico è articolato in momenti diversi:
- Anamnesi: indagine sulla storia clinica del paziente che viene interrogato direttamente o desunta dal racconto dei familiari. Serve a raccogliere i dati riguardanti i precedenti familiari e personali oltre che quelli fisiologici e patologici sia remoti che recenti.
- Semeiotica: esame del paziente alla ricerca dei sintomi e dei segni presenti. In questa fase il medico si avvale delle classiche manovre di ispezione (di cute, mucose, ecc.), palpazione (dell’addome, ecc.), percussione (del torace, ecc.) e della auscultazione (del cuore, del torace, ecc.)
- Valutazione del quadro clinico e comparazione analogica dello stesso a quelli di malattie caratterizzate dai medesimi segni e sintomi.
- Diagnostica differenziale: discriminazione tra le patologie analoghe che vengono progressivamente eliminate in base alla presenza o assenza di altri sintomi e segni. In questa fase risultano determinanti le indagini strumentali. Esiste anche una diagnostica differenziale effettuata con l’uso di software specializzati. Questo tipo di diagnostica nulla toglie al medico che valuta di volta in volta i risultati offerti dal software.
Una volta raggiunta la certezza di una diagnosi è possibile stabilire se quella malattia è curabile e con quale tipo di terapia: farmacologica, dietetica, chirurgica, ecc.
Soltanto a questo punto, conoscendo la malattia, il suo abituale decorso, le complicanze cui può andare incontro e soprattutto le condizioni generali dell’organismo del paziente, è possibile formulare la prognosi, ovvero un giudizio di previsione su quello che sarà il probabile esito dell’evento patologico.
In generale la prognosi è migliore quanto più precocemente viene svelata la malattia, perché nei casi in cui è possibile una terapia, e che sono fortunatamente la maggioranza, questa ha la possibilità di incidere più efficacemente. Ciò vale in particolare per i tumori maligni, per i quali è accertato che una diagnosi precoce può modificare significativamente in senso favorevole la prognosi.
Meglio ancora quando la diagnosi viene fatta prima ancora che la malattia dia segni e sintomi evidenti al paziente o al medico. Questa diagnosi formulata in fase preclinica è legata esclusivamente ad indagini strumentali, che per questo motivo vengono largamente impiegate negli screening. Tra queste, sono di particolare rilevanza la mammografia, radiografia del seno, la gastroscopia e colonscopia, indagini endoscopiche e quelle ecografiche.
Occorre considerare che anche la morte, quando dichiarata da un medico, riveste la qualità di diagnosi.
Ma ce ne siamo occupati anche su questa rivista almeno in un paio di circostanze con Romano Puricelli e Paolo Di Benedetto
Scrive Puricelli “…..Nello stesso tempo mi rendevo conto che la Diagnosi(conoscenza attraverso…) non potevo trascurarla. E mi resi conto che alcune sindrome particolari (tipo Algoneurodistrofia ora chiamate Sindrome Dolorose Regionali Complesse , le sindromi Miofasciali …erano, in qualche modo trascurate da altri specialisti o per meglio dire avevo più opportunità di vederle ,di diagnosticarle . Inoltre divenni consapevole che oltre alla diagnosi di malattia era importante ,essenziale fare anche una Diagnosi Funzionale cioè sapere attraverso la Clinica quanto era il difetto di quella persona che aveva avuto un certa malattia e proporre Terapie adeguate per raggiungere un miglioramento.
In sostanza la Clinica (clinos dal greco mi chino come ricordava Paolo di Benedetto) è essenziale anche in una specialità trasversale come la Medicina Fisica e Riabilitativa per poi proporre la Terapia.
Sto per chiudere: in Università a Milano ,durante il corso di Laurea, il professore di Clinica Medica (prof, Luigi Villa un grande Clinico )affermava che per fare diagnosi era sufficiente colloquiare ,ascoltando il racconto delle Malato ed osservare , guardare per vedere; giovane e sicuramente presuntuoso mi dicevo ,ma come è possibile…..ora sono della sua opinione. Infatti il colloquio, la osservazione ed io aggiungo per il nostro lavoro, la valutazione articolare e del sistema nervoso permettono di fare diagnosi ;mettere poi tutti i dati raccolti (dal colloquio e dalla osservazione e dallo esame articolare e neurologico) in un insieme che quantifica i difetti funzionali (da tanto tempo uso la scala F.I.M.) in sostanza fare la Diagnosi anche funzionale, verificandola nel tempo, permette, apre la strada alla terapia.
Per chiudere anche il Fisiatra che è un Clinico, fa la Diagnosi sia di malattia (frequentemente negli ambulatori ) sia la Diagnosi Funzionale.”
Scrive Di Benedetto”….. La diagnosi è un atto medico ed il Fisiatra deve essere in grado di formulare una diagnosi e, solo se necessario, di prescrivere l’opportuno programma riabilitativo.
– La trasversalità permette al fisiatra di dialogare con i vari specialisti “alla pari” e di non incappare in errori madornali, quali quelli che possono essere commessi da un Neurologo e da un Ortopedico, interpretando il primo come lombosciatalgia un problema coxo-femorale (metastasi da carcinoma mammario) ed il secondo come coxartrosi da operare una meralgia parestesica in un diabetico. Il Fisiatra ha l’obbligo di fare il clinico e, come diceva l’amico Romano Puricelli, la clinica si configura nel “chinarsi” sul paziente per visitarlo: una visita a 360° che sia in grado di ragionare in termini fisiopatologici sul problema lamentato dal paziente. La trasversalità del Fisiatra gli permette nell’attività ambulatoriale di affrontare nello stesso giorno problemi di vario tipo (neurologici, ortopedici, reumatologici, urologici o uro-ginecologici), anche con interventi diversificati (educativi, farmacologici, infiltrativi, manipolativi, oltre che prettamente fisio-riabilitativi). Senza per questo pensare di essere un Neurologo, un Ortopedico o un Reumatologo, cui ci si rivolgerà per meglio affrontare il problema, se necessario.
Or bene, ogni Fisiatra dovrebbe essere un mix (per usare i termini apparsi nei dibattiti sul sito) fra Fisiatra di Serie B, Fisiatra di Serie A e Fisiatra di “Champions League” (potrei anche descriverne le caratteristiche secondo la mia visione, ma sarebbe troppo lungo e forse non comprensibile): solo così potrà lavorare dovunque alla pari con gli altri specialisti, senza alcun complesso di inferiorità.
La dottoressa Maria Chiara Garetti ha parlato di aver sofferto di mancanza di “identità professionale” e mi ha fatto pensare al 1974-75, quando io soffrivo dello stesso problema. Sa, dottoressa, quando e come l’ho superato? La settimana in cui due pazienti mi dissero (un giovane paraplegico ed una signora di 50 anni ricoverata per una lombosciatalgia) che il loro problema più angustiante era il disturbo vescico-sfinterico. Da allora l’interesse nello specifico settore, per oltre un decennio minimizzato se non deriso dai colleghi, ha rappresentato motivo di collaborazione professionale e scientifica con tanti altri specialisti (urologi, ginecologi, geriatri e colonproctologi), oltre che con una miriade di infermieri, fisioterapisti ed ostetriche. La nostra specialità si è fatta valere in tanti ambiti ed i numerosi eventi scientifici (oltre 700) a cui sono stato invitato negli ultimi 30 anni come Fisiatra mi hanno fatto capire definitivamente che la strada scelta era quella giusta: accanto alle ovvie delusioni, tanti sono stati i motivi di soddisfazione che mi fanno dire ancora oggi che, potendo ritornare indietro, rifarei sempre la stessa scelta: quella di fare il Fisiatra. Per affrontare i reali problemi delle persone, in particolare quelli che, magari non evidenti, inficiano la loro qualità di vita.
Ancora oggi sono dedito allo studio e per questo, pur essendo ormai avanti negli anni, mi sento “giovane”: con voglia di apprendere, di allargare le proprie conoscenze, di perfezionare il mio “saper fare”, per il tempo che Dio mi concederà per essere di aiuto a chi soffre.
Non ho più i problemi di identità professionale dei miei primi anni certamente, anche se talvolta è difficile far capire agli altri quello che fai e quello che sei, soprattutto quando ti cercano per i più svariati problemi. Ma qui sta la ricchezza del Fisiatra che non è più l’Ortopedico o il Neurologo mancato, ma uno specialista che gestisce tutte le disabilità ed è in grado di essere talvolta il “collante” fra alcune specialità che, nelle zone di confine, lasciano spazi vuoti. Ed è per questo che i Fisiatri devono appropriarsi della capacità di fare diagnosi, oltre che di formulare i piani terapeutici.”
Un patrimonio culturale e scientifico che trova dunque, nella pratica quotidiana, il realizzarsi di tutte le condizioni utili e necessarie per dare una risposta alla Persona con disabilitá. Risposte attese dai pazienti ed indispensabili per escludere patologie insidiose e nascoste e, viceversa, per confermare giudizi diagnostici di patologie e funzionali, indispensabili per iniziare un percorso di riabilitazione, che non sia una intuizione occasionale di un non medico, ma che rappresenti la logica conclusione di un percorso formativo, professionale e scientifico che é proprio solo del Medico e che in Riabilitazione é proprio del Fisiatra.
Ma tutto questo il mio macellaio lo sapeva giá !