La disabilità in prima persona

Anno: 2024 - Vol 9 / Fascicolo: 17 / Periodo: ott-dic

Autori:

Cavallo Carla Rossella ¹, Massimo Sinigaglia ²

¹ Insegnante ITIS “A. Rossi” e Pedagogista Clinico

² Assistente bibliotecario

 


Più volte ho scritto per approfondimento di alcune tematiche che riguardavano la disabilità e ho dichiarato di occuparmi di disabilità e difficoltà della persona come Pedagogista Clinico e come insegnante. Mi sono avvicinata a questo mondo per caso, come succede a molti, si inizia con le esperienze scolastiche e si inizia a prendere coscienza di ciò che potrebbe essere diverso. Il significato, il perché e l’eventuale strategia o aiuto, a me è capitato in diversi contesti, la cosa non mi ha affatto disturbato anzi ha suscitato curiosità fino alla volontà di approfondire sempre di più questo tema e farlo diventare parte del mio lavoro. Come ho già detto, tutto è iniziato quando ero tra i banchi della scuola come studentessa, ma le conoscenze e le esperienze si sono amplificate entrando nel mondo del lavoro, a quel punto mi sono resa conto concretamente delle diverse disabilità.

Da diversi anni vivo in un piccolo comune in provincia di Vicenza e ho avuto la possibilità di conoscere il mio vicino che è disabile dalla nascita, una persona solare e socievole al quale non mancano mai due parole per alleviarti la giornata. In più occasioni ci siamo fermati a chiacchierare e più volte ci siamo confrontati su alcuni temi o episodi che gli capitavano, così è esploso, in lui, il desiderio di scrivere e da pedagogista l’ho invitato a farlo come forma di sfogo per liberarsi e per lasciare traccia di una testimonianza genuina e diretta proprio come la sua.

Questo “mio” articolo questa volta è un pezzo a quattro mani poiché per parlare di disabilità utilizzo, con il consenso dato dall’autore, il suo scritto che riporto integralmente.

“Mi chiamo Massimo, ho 33 anni e sono una persona con disabilità motoria dalla nascita, ho deciso di scrivere queste pagine perché spero nel mio piccolo di portare chi le leggerà a riflettere.
Ho sempre ringraziato il cielo di non essere stato vittima di un incidente perché credo che reinventarsi dopo un trauma del genere non sia per nulla semplice.
Proprio per questo motivo non mi permetterò di parlare di cose che vanno al di fuori della mia personale esperienza.
Quando una persona è come me, disabile dalla nascita, ogni obiettivo che vuole raggiungere diventa un percorso che sa quando comincia ma non sa quando e come finirà.
La persona disabile dalla nascita si trova a dover affrontare diversi aspetti fondamentali per la vita:

  • occuparsi dell’aspetto motorio e ricavare il massimo dell’autonomia possibile dal suo corpo;
  • prendersi cura della propria istruzione scolastica;
  • conoscere e creare delle relazioni solide;
  • capire come e cercare il lavoro adatto alle sue esigenze.

Come potete immaginare questi percorsi richiedono tempo, fatica e scelte importanti come su quali aspetti curare prima e con quale metodo cercare di raggiungerli.
Ogni professionista che la persona incontra, in qualsiasi ambito, ha la sua idea su come procedere verso la persona da curare e durante il suo percorso deve vagliare tutte le variabili e affrontare solo in un secondo momento il passaggio della scelta del metodo.
Alla luce di quanto ho appena spiegato risulta ovvio che la persona non riesca ad avere uno sviluppo di tutti i percorsi come i suoi coetanei e soffrirà sempre molto di un divario con le persone normodotate che non hanno difficoltà di movimento e di conseguenza saranno più facilitate a creare, coltivare relazioni e fare esperienze di vario tipo.
Per me l’autonomia è arrivata con il conseguimento della patente di guida a Padova dopo che, nella mia città di residenza, la commissione medica non aveva valutato una lunga relazione di idoneità perché proveniva da un altra provincia.
Un’altra delle ultime esperienze negative è avvenuta di recente, avevo deciso di voler prendere un treno e invece mi sono sentito dire che il servizio di assistenza alla salita e discesa dal treno prevede un accompagnatore e che il fatto che io volessi viaggiare solo risultava una richiesta strana. Anche in questo caso credo che il servizio di aiuto al binario debba essere fatto proprio perché la persona anche in Italia possa viaggiare sola: come faccio a fare esperienza se non mi metto alla prova in solitudine?
Credo che ogni regione debba facilitare l’iter di conseguimento della patente di guida per disabili, dotandosi di auto con la possibilità multi adattate che danno all’istruttore di trovare il miglior modo  di guidare per la persona secondo le sue possibilità, bisognerebbe dotarsi di strutture e strade adatte alle carrozzine in ogni centro abitato e rendere l’Europa e il mondo un luogo bello e senza barriere simile al modello tedesco.
Cito il modello tedesco perché ho avuto modo di fare l’esperienza diretta, in Germania sono arrivato in aereo e mi sono spostato solo con i mezzi pubblici, non ho quasi trovato barriere architettoniche e quando le ho trovate ho ricevuto aiuto immediato.
Nei paesi nordici la mia carrozzina non è vista come un problema, in Italia è ancora uno svantaggio e fatta eccezione per poche persone, purtroppo, molti ti guardano con pietismo e collegano la carrozzina anche a una disabilità mentale.
Vorrei veramente che nel 2024 il mondo fosse inclusivo per la persona con disabilità in tutte le fasi della sua vita: dall’infanzia all’età pensionabile.
Mi sono sentito dire dalla gente cose banali come “non pensavo che riuscissi a lavarti da solo, vestirti da solo”, “ma puoi avere rapporti”, “puoi cucinare nella tua condizione”, tante altre sciocchezze dolorose, spesso mi sono sentito trattato con durezza o pietismo a seconda della persona!
Ciascuna di queste domande fatte con pietismo, per prendere in giro oppure di non farle per paura, mi porta nel cuore un grande dolore e mi porta a stare solo.
Se sono arrivato fino ad oggi il gran merito va a mia madre che ha comprato una casa dalla quale posso entrare e uscire in autonomia, mi ha supportato affinché riuscissi a conseguire la patente che mi permette di spostarmi e di avere opportunità di stringere legami e avere interessi fuori di casa, ringrazio il mio lavoro e i miei vicini di casa alla quale ho potuto sempre chiedere aiuto quando ne ho avuto la necessità.
Le famiglie che mi stanno abitano vicino hanno alleggerito il divario con il mondo e mi hanno spinto a capire che potevo relazionarmi con serenità e senza paura, perché uscendo dal mio ambiente conosciuto potevano accadere cose spiacevoli ma sapevo che tornando a casa avrei trovato un ambiente rispettoso della mia persona.
Come ogni cosa, anche la fiducia vicino casa è arrivata lentamente e con pazienza ma ciò mi ha permesso, successivamente, di prendere coraggio e andare nel mondo a cercare ambienti analoghi dove proseguire il mio cammino.
Credo che sia questa la chiave per il mondo di domani: inclusione, empatia e accessibilità per tutti in ogni luogo e occhi per vedere la persona nel suo complesso e con le sue potenzialità.
Ne ho fatta di strada ma guardando al mio futuro, sono consapevole di essere ancora all’inizio del mio percorso, sono arrivato a questa conclusione perché fino ad oggi il mio grado di autonomia mi permette di andare nel mondo ma non mi restituisce le esperienze non fatte, quindi il divario resta, la paura di sbagliare, di rimanere solo non avendo molta esperienza e il dover fare sempre un po’ più di fatica ad arrivare ai traguardi, a volte, mi divora.
Per il futuro spero che tutto diventi accessibile e fruibile per tutti, così che le differenze tra disabili e normodotati non esistano più e si parlerà solo di persone che vivono, si relazionano e fanno esperienze alla pari dall’ infanzia alla vecchiaia.
Consegno queste riflessioni alla dottoressa Carla Rossella Cavallo essendo sicuro che ne farà buon uso e spero che serviranno a porre un tassello per una società migliore.”

Massimo Sinigaglia – Vicenza

Massimo attraverso una comunicazione efficace ci consente di capire esattamente cosa ha vissuto e come lui tante altre persone le vivono, con la speranza di una reazione attesa, cioè quella di essere compresi nel modo sperato. 
Ci descrive in modo molto chiaro la realtà italiana, le difficoltà emotive, le barriere architettoniche, le difficoltà organizzative, tutti aspetti che per noi presi dalla fretta e dal correre quotidiano sottovalutiamo o neanche ci accorgiamo ma che purtroppo una parte della popolazione fa i conti tutti i giorni.
Una “semplice” barriera architettonica ostacola un anziano, un disabile, un bambino ma non è la sola difficoltà momentanea che potrebbe essere superata con l’aiuto tempestivo, che non sempre è presente, ma una barriera architettonica muove all’interno di quella persona un mondo che nessuno vede o sente ma solo chi vive quella condizione sa la traccia dolorosa che lascia.
Da Pedagogista e da insegnante so benissimo che non è possibile comunicare se l’altro non è interessato e coinvolto in un clima positivo, creato ad hoc. Al docente si richiede quindi la capacità di comunicare in modo chiaro gli obiettivi della lezione, favorire la partecipazione di tutti, e promuovere una collaborazione emotiva tra di essi. Ma dico anche che è impossibile non comunicare, comunichiamo sempre, pur non volendo, con qualsiasi comportamento, anche inconscio e involontario, anche rimanendo in silenzio o con gli occhi chiusi.
Condivido con Massimo queste difficoltà e ho chiesto di scriverle proprio perché volevo che la nostra comunicazione diventasse di tanti e che si creasse l’empatia e la volontà di cambiare alcuni atteggiamenti.
Alcune strategie, pedagogiche, sarebbero quelle di iniziare a realizzare dei piccoli accorgimenti che potrebbero aiutare gli altri; togliersi il pietismo e iniziare a comportarsi normalmente, chiedere: “Come stai?” In modo naturale e senza pregiudizio è la prima forma di rispetto; cercare di conoscere e coinvolgere l’altro, accettando i suoi limiti e le diversità e farne dei punti di forza è un altro punto positivo per noi e per l’altro.
Si interviene, come nel mio caso nella scuola e si continua fuori, si inizia con i bambini facendoli prendere confidenza con la realtà senza paure o pregiudizi e rispondendo alle loro domande e si accompagna fino all’età adulta anche con le esperienze dirette ma soprattutto con il dialogo, una comunicazione positiva e collaborativa.
Per ogni fascia d’età ci sono delle possibilità di intervento che tutti dovremmo attivare e per ogni ruolo ci sono delle strategie da usare e condividere perché solo con la fiducia, la collaborazione e condivisione con gli altri, con la rete sociale che si crea, si ottengono i risultati migliori.

Ognuno di noi ha dei valori e delle abilità da insegnare o utilizzare in aiuto ad un’altra persona.

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  1. Ritengo un mondo inclusivo un mondo migliore e quando dovetti portare un tutore per un ginocchio mi accorsi della difficoltà di salire alcuni marciapiedi alti di Roma come un grosso ostacolo alla mia autonomia e 17 anni al Centro Paraplegici di Ostia mi hanno insegnato tantissimo dal punto di vista umano e professionale. Scoprii che i bar di Ostia spesso avevano banconi più bassi di quelli standard proprio per l’elevato numero di persone con lesione midollare arrivate da tutte le regioni sul litorale romano negli anni 50-70 proprio per la presenza del CPO che per merito del Prof. Maglio aveva introdotto dei percorsi di riabilitazione per un reinserimento ottimale nel mondo lavorativo e familiare. Molti pazienti ricoverati o ex pazienti mi mostrava delle autonomie maggiori a quelle possedute dal sottoscritto. Certo le battaglie non sono mai terminate per esempio quando ristrutturando l’ospedale fu applicata una porta d’ingresso al Centro con maniglie per l’apertura o quando la Circoscrizione decise di mettere i sanpietrini nei marciapiedi intorno all’ospedale ecc. E purtroppo capisco molto bene quando l’autore del post parla del modello tedesco nei trasporti pubblici urbani. Mi scuso per questo commento lungo ma l’articolo mi ha riportato alle esperienze vissute a Ostia che hanno rappresentato una parte importante della mia vita personale

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