Ci siamo mai chiesti se abbiamo fatto abbastanza per il nostro paziente? Se abbiamo fatto troppo, e quindi sprecando risorse, oppure troppo poco così che non abbiamo ottenuto i risultati che avremmo potuto avere prolungando o intensificando il nostro trattamento? Diamo sempre per scontato che “di più il paziente non poteva recuperare”, oppure che quel che gli facciamo è la cosa giusta da fare in qualità e in quantità.
Purtroppo, la letteratura non ci aiuta a sufficienza, e non ci dice di preciso quanto esercizio dobbiamo far fare per ottenere il recupero di funzioni motorie dopo eventi che hanno portato a disabilità di origine neurologica. Neanche per gli esiti di stroke, su cui la letteratura è abbondantissima.
Sappiamo che è necessaria intensività e task orientation, ma, soprattutto per la prima, non abbiamo informazioni né conoscenze precise. Siamo molto lontani da una posologia della riabilitazione più precisa, adatta ad ogni paziente.
Una grossa conquista è stata raggiunta negli ultimi dieci anni nel modo riabilitativo, anche a livello internazionale: si è diffuso l’uso di “misurare” il paziente all’inizio del trattamento per descriverlo, e descrivere i suoi bisogni riabilitativi, e alla fine del trattamento per verificare cosa abbiamo ottenuto. Questo comincia a rendere meno “approssimativo”, “magico” il nostro intervento riabilitativo.
Ma ancora continuiamo a trattare il paziente, soprattutto quello con disabilità di origine neurologica, spesso “provando” senza una conoscenza della “quantità” di terapia veramente necessaria.
E spesso resta il dubbio, talora la certezza, di non fare a sufficienza, soprattutto con l’organizzazione dei nostri reparti, per coloro che hanno realmente bisogno di riabilitazione. Andiamo per cicli di 10 sedute di rieducazione motoria, ma non sappiano per quanti cicli, per quale frequenza di sedute e poi cosa fare di meglio in quelle sedute.
Non ci siamo arrivati neppure con l’aiuto della tecnologia (dispositivi robotici, Realtà Virtuale, teleriabilitazione ecc…) ove strumenti di monitoraggio dell’attività svolta dal soggetto e anche della sua limitazione nella performance sono intrinseci alla macchina. Le possibilità di assessment, per esempio coi dispositivi robotici, sono molteplici, dalla cinematica con i range di movimento (ROM), traiettorie, velocità, accelerazioni a parametri dinamici come l’intensità, la durata e la frequenza di forze e pressioni oppure altri parametri fisiologici, ad esempio l’attivazione muscolare tramite EMG.
E che cosa ce ne facciamo, se non anche per standardizzare e “dosare” il training che vogliamo far fare?
Se non utilizziamo bene questi strumenti, stiamo utilizzando delle Ferrari come una bicicletta…
Nei numerosi lavori scientifici pubblicati negli ultimi 10 anni, si parla troppo spesso di “cicli di 10 o 20 sedute” 2 o 3 volte alla settimana. Per qualsiasi paziente, in qualsiasi fase del suo percorso riabilitativo, con qualsiasi livello di disabilità (più grave e meno grave).
È ovvio che siamo costretti a parlare di “cicli” di 10 sedute per l’usanza di programmare l’attività dei servizi per “cicli” standardizzati, data l‘impostazione attuale dei LEA. Questo non succede solo da noi in Italia e quindi per le pubblicazioni di Autori italiani, ma succede anche all’estero, forse per i medesimi motivi di organizzazione dei servizi o di rimborsabilità statale o delle assicurazioni. E allora cosa ci dicono questi studi? Forse, se ben descritti gli interventi, riusciamo a conoscere il contenuto delle singole sessioni (quanti minuti in totale, quanti minuti per i vari tipi di training), ma nulla sappiamo della reale posologia dell’esercizio: cosa fare e con che dosaggio per ogni specifica limitazione del movimento.
Ci basiamo sulla nostra esperienza, ma il dubbio, almeno ai più onesti, resta: stiamo facendo veramente il massimo per il nostro paziente o, meglio, ciò che è realmente necessario?
E quindi, i pazienti che non recuperano, non potrebbero recuperare di più in altro modo? Magari intensificando o prolungando il trattamento, magari con cadenze diverse, oppure hanno raggiunto il plateau massimo di recupero già ai primi cicli e abbiamo sprecato sedute inutilmente?
È importante che noi ci pensiamo seriamente, per dare a chi ne ha bisogno il dovuto, e niente di più, e non darlo a chi non ne ha bisogno. Riflessione importante, come si dice, in tempi di “ridotte risorse”.
Come si è detto tante volte, per dare la cosa giusta al momento giusto e nel modo giusto.
Nel caso della robotica c’è molto da fare per scegliere a chi offrire questa opportunità di trattamento. La Conferenza di Consenso CICERONE suggerisce alcune fondamentali indicazioni ovvero quali pazienti ne possono trarre maggior beneficio, con quale dispositivo particolare e cominciano a essere pubblicati lavori che permetteranno a breve di specificare anche questo. Ma siamo ancora lontani dal definire con quale posologia dell’esercizio: intensità (quantità di attività per ogni sessione), durata del ciclo (numero di settimane), frequenza delle sessioni (quante per settimana).
Alcuni Autori, avendo la possibilità di quantificare l’esercizio richiesto ai pazienti tramite la robotica, cominciano a fare delle proposte. “How much more is better? Better for whom? Optimal timing and dosing to benefit at the individual level”…
Vediamo alcuni interessanti lavori, recentemente pubblicati, che danno utili spunti di riflessione su questi argomenti.
Contenuto delle sedute: numero esercizi (dosaggio) da fare. Si sa che per ottenere una performance, anche in ambito non riabilitativo, bisogna esercitarsi in continuazione. Lo dimostrano gli atleti, con le loro ore di impegno progressivo.
Qualche Autore ha cominciato a ragionare sulle ripetizioni necessarie per il recupero del movimento nei pazienti con esiti di stroke, utilizzando le diverse tecnologie. Partendo sempre dalla premessa che tutto deve essere significativo in termini di funzione e partecipazione. Alcuni Autori affermano che sono necessarie centinaia di ripetizioni di uno specifico pattern di movimento per ottenere un sufficiente stimolo di neuroplasticità della corteccia cerebrale dopo stroke. In uno studio con teleriabilitazione per l’arto superiore l’Autore ha concluso che occorrono ben 1031 ripetizioni di movimenti dell’arto superiore al giorno per massimizzare il fenomeno della neuroplasticità mentre il numero di ripetizioni del gesto, durante una sessione di convenzionale terapia riabilitativa, sono in media 32. Quindi sono necessarie veramente tante ripetizioni del gesto, molte di più di quanto si pensa di fare nelle sedute convenzionali.
Frequenza delle sessioni: una ricerca multicentrica che ha convolto alcuni centri riabilitativi italiani sulla riabilitazione con robot end effector per il recupero del cammino in 108 pazienti con esiti di stroke in fase cronica, ha concluso che pur facendo solo 20 sedute di riabilitazione convenzionale con trattamento robotico in aggiunta, si otteneva un miglioramento significativo sia nel gruppo con FAC <3 che nel gruppo con FAC >3, ma si aveva maggiore recupero nel gruppo a maggior frequenza settimanale (3 volte settimana) rispetto a coloro che seguivano 2 sessioni settimanali.
Quindi un piccolo aumento di frequenza, pur con lo stesso numero di sedute in totale, faceva la differenza.
Sulla durata, Daly ha considerato pazienti con esiti cronici di stroke, con grave limitazione motoria dell’arto superiore (FUGL media di 22/66) sottoposti a trattamento tradizionale sull’arto superiore integrato dalla stimolazione elettrica funzionale per polso/mano ove necessario e Robot esoscheletrico per spalla/gomito, secondo una progressione degli esercizi prestabilita. In questo modo ha provato a verificare i risultati di un trattamento intensivo (5 d/w, 12 weeks, 5 h day) della durata di 150 ore e di 300 ore in totale e ha mostrato che la FUGL dopo 150 ore continuava a crescere e raddoppiava il MCID al termine delle 300 ore, non raggiungendo prima il plateau, anzi, questi eccellenti risultati si mantenevano anche al follow up di 3 mesi. Allo stesso modo l’AMAT (valutazione della funzionalità arto superiore nel post stroke) migliorava sempre e continuava a migliorare anche dopo il termine del trattamento (sia nella funzione che nella velocità). Si sono raggiunti miglioramenti con una significatività percepibile clinica da parte del paziente.
Se si sospendeva il trattamento prima, per esempio a metà (150 ore di trattamento), non si otteneva il maggior recupero ottenuto con il doppio di ore. I pazienti restavano con le loro gravi limitazioni funzionali, ma solo per mancanza di trattamento riabilitativo. Allora, tanto valeva non fare niente per loro perché abbiamo perso e fatto perdere tempo.
Quindi dobbiamo cominciare a “quantificare” anche le attività che facciamo fare, dando loro un senso…
Sulla scia di queste riflessioni, alcuni Autori hanno già iniziato a ragionare su quello che si fa fare ai pazienti, adeguando l’intervento alla gravità del deficit motorio.
Per esempio, in uno studio multicentrico italiano sul training robotico per il paziente con esiti di stroke, un gruppo di Autori italiani ha stabilito e ben descritto i protocolli di esercizio con dispositivi robotici per pazienti con esiti cronici di stroke gravi (FMA 0 – 28), moderati (FMA 29 – 42) lievi (FMA 43 – 66) (Aprile) per valutare l’effetto che fa.
Allo stesso modo ha cercato di codificare la progressione dell’esercizio necessario per ogni categoria di gravità motoria dopo stroke, il gruppo di Gandolfi in uno studio sull’efficacia del training robotico nel recupero del cammino e della abilità a fare le scale.
Per ora, nel trattamento convenzionale le ripetizioni del movimento spesso non sono misurabili, ma in ogni caso non lo si fa con lo specifico intento di standardizzare l’esercizio, pensando sia sufficiente l’esperienza e quello che “sente” l’operatore per la quantità e la progressione dell’esercizio. Questo, come abbiamo visto, ci può indurre in una grave approssimazione del nostro intervento.
Bibliografia
1. Consensus Conference CICERONE – Riabilitazione assistita da robot e dispositivi elettromeccanici per le persone con disabilità di origine neurologica- sito SIMFER/ SIRN
2. Jeffers MS et al. Does stroke rehabilitation really matter? part b: an algorithm forprescribing an effective intensity of rehabilitation. Neurorehabil Neural Repair. 2018; 32(1):73-83.
3. Cramer Steven C. Efficacy of Home-Based Telerehabilitation vs In-Clinic Therapy for Adults After Stroke A Randomized Clinical Trial. JAMA Neurol.2019 Sep; 76(9): 1079–1087.
4. Mazzoleni S. et al. Robot assisted end effector based gait training in chronic stroke patients: A multicentric uncontrolled observational retrospective clinical study. Neurorehabilitation 2017; 40(4): 483-492.
5. Daly Janis J. et al, Long-Dose Intensive Therapy Is Necessary for Strong, Clinically Significant, Upper Limb Functional Gains and Retained Gains in Severe/Moderate Chronic Stroke. Neurorehabilitation and Neural Repair 2019, Vol. 33(7) 523– 537
6. Aprile I et Al. Upper limb robotic rehabilitation after stroke: a multicenter, randomized clinical trial. J Neurol Phys Ther , 2020 Jan; 44(1): 3-14.
7. Gandolfi ML et Al. Robot-Assisted Stair ClimbingTraining on Postural Control and Sensory Integration Processes in Chronic Post-stroke Patients: A Randomized Controlled Clinical Trial. Front Neurosci. 2019 Oct 24: 13:1143.
Cara Donatella se tu fossi Presidente di una Società scientifica, a cui non sono più iscritto, mi reiscriverei!
Sai il rispetto e la stima che ho di te ed ho letto con piacere ciò che dici …su molte cose non ho neanche la cultura di definirle ma su due cose mi permetto di obiettare ovvero che finché parliamo di pazienti e non di persone non troveremo mai la quadratura del cerchio ovvero se non umanizziamo il nostro lavoro parleremo del nulla per decenni futuri e che occorre avere il coraggio di produrre nei territori attività di riabilitazione di accoglienza che prendano in carico la cronicità riabilitativa per tempi indeterminato e non con la regola del 10 e multipli.Difficile? Certo lo so bene lo faccio da decenni! Ma è l unico modo di dare una risposta …La riabilitazione non può essere solo medica …deve essere anche sociale.E credimi è molto più facile stare negli ospedali che scendere nelle comunita’.Un caro saluto.
Le osservazioni fatte dalla Nostra Donatella sono più che condivisibili; infatti credo che ognuno di noi alla fine, nel suggerire un qualsivoglia trattamento, lo fa in base alla propria esperienza più che a linee guida ben definite