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di Morena Ottaviani
Nell’Ottobre scorso un titolo dei principali TG aveva attirato la mia attenzione e si sistemò in uno dei cassetti in cui ripongo quelle idee che prima o poi si tramutano in parole scritte, che queste pagine (ed il suo Direttore) hanno la bontà di accogliere e pubblicare. Si trattava di uno studio sulla burocrazia necessaria all’autorizzazione di apertura di alcune attività.
A distanza di alcuni mesi, ho quindi fatto una veloce ricerca, e questi sono i titoli che sono scaturiti:
- “La zavorra burocrazia: che impresa aprire un’impresa!”(il quotidiano.net)
- “I 65 passaggi in 26 sportelli per avviare un’impresa in Italia” (corriere.it)
- “Imprese e burocrazia, CNA: 71 pratiche per un bar, 86 per un’officina” (tg24.sky.it)
L’indagine condotta dall’Osservatorio CNA nazionale (Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa)ha analizzato quanti e quali sono gli adempimenti e le procedure necessarie all’avvio di una impresa; sono stati coinvolti 52 CNA territoriali in altrettanti Comuni, di cui 50 capoluoghi di provincia. Nello studio sono state considerate 5 attività: acconciatura, bar, autoriparazione, gelateria e falegnameria. Di ciascuna sono stati analizzati, tra l’altro, il numero di adempimenti, gli enti coinvolti, i costi burocratici, i requisiti strutturali e tecnici. Di seguito un riassunto dei dati emersi:
Acconciatura: 65 adempimenti, con 26 enti coinvolti, 39 contatti (o file) ed una spesa di 17.535 euro in mera burocrazia. E’ necessario il superamento di un esame teorico-pratico quale conclusione di un percorso formativo triennale ed uno stage di durata variabile tra le 500 e le 1200 ore. Serve, oltre alla SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività)- la quale è risultata necessaria per tutte le attività analizzate – , un certificato di agibilità per i locali.
Bar: 71 adempimenti con 26 enti coinvolti, 41 contatti ed una spesa di quasi 15.000 euro. Il corso formativo dura tra le 100 e le 160 ore ed è necessaria una relazione su attrezzature, adeguatezza locali, agibilità, e verifiche sull’impianto elettrico
Autoriparazione: necessari 86 adempimenti con 30 enti e 48 contatti, per una cifra che supera i 18.000 euro. Il corso formativo dura 500 ore e vengono richieste diverse certificazioni di adempimenti ambientali (ad es. impatto acustico, acque reflue, ecc.).
Gelateria: 73 adempimenti, con 26 enti e 41 contatti per un costo di oltre 12.500 euro. E’ necessario aver frequentato un corso la cui durata non è resa nota, ed una notifica sanitaria.
Falegnameria: 78 adempimenti, con 26 enti e 39 contatti con una spesa di ben 19.742 euro. Anche in questa attività vengono richiesti numerosi obblighi ambientati e controlli antincendio.
L’ultimo dato che mi preme evidenziare, è che per tutte questa attività è obbligatorio effettuare interventi edilizi per agevolare l’accesso ai disabili.
A questo punto, chi è stato solleticato dalla curiosità di leggermi fino a qui per capire se sono in preda ad una crisi di identità professionale o altro, verrà accontentato. Il passo successivo è infatti stato cercare di capire quale burocrazia deve affrontare che volesse aprire uno studio di fisioterapia. E qui mi sono divertita (amaramente, sic!).
La premessa comune a tutte le pagine che si presentano a supporto di chi voglia tuffarsi nella ”impresa riabilitazione” è questa frase: “La fisioterapia è una branca medicache impiega diversi sistemi…bla-bla-bla”. La domanda, indi, sorge spontaneamente: a qualcuno è per caso venuto in mente che gli aggettivi “medico” e “fisioterapico” sottendono a diverse figure professionali? Che la qualifica di Medico è ben differente da quella di Fisioterapista? Che 6 anni di studi in Medicina e 4 anni di Specializzazione sono “un pochino” diversi da 3 anni di università? Ma andiamo oltre.
In un sito di consulenze on-line da parte di Dottori Commercialisti (https://www.contributipmi.it/aprire-uno-studio-di-fisioterapia-requisiti-e-iter-burocratico/) viene affermato che il titolo di studio necessario è quello di Laurea in Fisioterapia ottenuto dopo 3 anni di Università, ma “sono accettati anche titoli di studio equipollenti come quello di terapista della riabilitazione (e qui ci sta)e (udite-udite!)di osteopata”. Vengono indicate come conditio sine qua nonl’iscrizione all’AIFI (ma come? Sarebbe come dire che se non sono iscritta al SIMFER non posso esercitare come Fisiatra!) e la sottoscrizione di una polizza RC professionale in caso di richiesta di risarcimento per “danni causati da errori medici o negligenza”. Come errori medici?? E poi negligenza di chi? Del Medico? Che però non è mai stato citato prima d’ora? Non è molto chiaro …. Infine, si segnala che le pratiche burocratiche si esauriscono con una SCIA presso il Comune di competenza e che dopo 30 giorni dalla data di presentazione, in regime di silenzio-assenso sarà possibile iniziare l’attività. Et voilà!
Cambiando fonte, mi imbatto in un sito di Dottori Commercialisti e Revisori Legali (https://www.studioallievi.com/blog/aprire-un-centro-di-fisioterapia/) e subito svaniscono le mie speranze di una maggior precisione grazie alla presenza dei Revisori Legali. Infatti anche qui per quanto riguarda i requisiti legati al titolo di studio, viene citata l’equipollenza col titolo di osteopata; si prosegue poi con l’iscrizione all’AIFI e con la solita polizza RC sempre per danni causati ai pazienti dai soliti errori medici (che fanno il loro ingresso in campo solo in caso di errore) o per negligenza. Anche qui si indica la SCIA, che però deve essere presentata in Comune corredata da certificati di conformità dei locali e degli impianti (era ora!!) e dai titoli di studio. Ed ora veniamo alla chicchina, che viene definita un consiglio e che riporto testualmente: “…se hai intenzione di diventare un imprenditore …..senza essere però fisioterapista dovrai necessariamente assumere un direttore medico con la qualifica di fisioterapista”. Aiuto!!!
Un raggio di sole è emerso grazie allo Studio Sharing (un sito che si occupa di fornire informazioni e suggerimenti a chi vuole aprire uno studio di varie discipline sanitarie – medico, fisioterapico, dietista, psicologo, ecc- , e alcuni altri studi professionali – architetto, avvocato – https://studiosharing.it/risorse/come-aprire-uno-studio-di-fisioterapia/). Tra questa pagine infatti non sono riuscita a trovare castronerie grossolane, ivi compresa la necessità di essere iscritti non al’AIFI bensì all’elenco delle Professioni Sanitarie del Ministero (oggi in via di sostituzione dagli Albi e Ordini in fase di organizzazione, quindi presumo che faranno a breve un aggiornamento). In questo caso viene indicata la necessità di inviare una DIA (Denuncia di Inizio Attività) in Comune, con tutti i veri certificati di agibilità e di sicurezza dell’impianto elettrico.
Proseguendo la mia indagine, ho dato una sbirciata su alcune pagine delle sezioni regionali dell’AIFI e anche qui sono emerse curiosità interessanti.
La sezione del Lazio (https://lazio.aifi.net/files/2018/04/Apertura-Studio-Professionale_Lazio.pdf), ad esempio, informa che, una volta comunicata la SCIA all’ASL competente per territorio, il fisioterapista può immediatamente iniziare l’attività. Un dato significativo è rappresentato dal fatto che “l’immobile non deve necessariamente presentare l’abbattimento/superamento delle barriere architettoniche” (della serie: pre-selezioniamo pazienti sani!). Per il resto, soliti certificati a norma, che però verranno eventualmente visionati solo in caso di ispezione a parte degli addetti della ASL.
Nella sezione molisana dell’AIFI, si segnala la necessità di una DIA per aprire quello che viene definito “lo studio del fisioterapista”, forse perché viene sottolineata la differenza tra Studio Professionale e Ambulatorio di Fisiokinesiterapia, ove è necessaria la direzione medica (http://www.aifimolise.it/libera_professione.php).
La sezione umbra sembra che abbia definito delle Linee Guida per l’apertura di uno studio professionale, ma l’accesso è riservato agli associati, quindi ci rassegniamo e proseguiamo (http://www.aifiumbria.net/linee-guida-per-lapertura-e-conduzione-dello-studio-professionale-di-fisioterapia/).
La sezione ligure dell’AIFI sottolinea che la presenza di orari di apertura e interposizioni di terze parti/persone potrebbero trasformare lo studio professionale in un presidio riabilitativo, con la necessità di una direzione medica (ma qui, almeno nel Levante ligure, vi posso assicurare che non ci fanno proprio caso nella maggior parte dei casi). Anche in questa pagine si indica la necessità di una DIA presso il Comune di riferimento.
La Regione Lombardia (il sito AIFI lombardo non tratta l’argomento) infine, citando la DGR 5724/2001, indica la definizione di studi professionali quali attività dove le prestazioni erogate “non determinino procedure diagnostico terapeutiche di particolare complessità o che comportino un rischio per la sicurezza del paziente” (e qui un buon Avvocato avrebbe di che divertirsi, mettendo insieme a queste righe le argomentazioni della famosa/famigerata sentenza della Consulta in merito alla questione sarda!). Anche qui si segue il solito iter della SCIA. A onor del vero, però, mi sembra opportuno segnalare che anche la Legge della Regione Liguria n. 9 del 11 maggio 2017, stabilisce nuove regole per le procedure di autorizzazione delle strutture sanitarie pubbliche e private e, tra queste vengono contemplate anche “gli studi medici e odontoiatrici e di altre professioni sanitarie ove si eroghino prestazioni di chirurgia ambulatoriale vale a dire procedure diagnostiche e terapeutiche a maggiore complessità che comportino un rischio per la salute del paziente”. Speriamo di vedere la coordinazione tra queste nuove norme e le sentenze già note.
Qui mi fermo.Lasciatemi però concludere che le informazioni che ho raccolto dipingono un quadro preoccupante. Non voglio ulteriormente polemizzare sulle competenze e sui ruoli di fisioterapisti, osteopati e Fisiatri, ma la semplicità con cui si può aprire un’attività che permette di lavorare sulla salute delle presone lascia ammutoliti di fronte alla complessità delle procedure necessarie per aprire una delle attività analizzate dalla CNA. Sappiamo benissimo che, dopo avere presentato la documentazione richiesta nei vari uffici comunali o delle ASL, è un evento rarissimo che vengano effettuati dei controlli di veridicità. Nelle procedure che vengono espletate per certificare un accreditamento istituzionale, sicuramente sono approfonditi e verificati i requisiti necessari, ma in tutti gli altri studi, dubito profondamente che vengano svolti controlli, anche periodici, anche random. Che dire poi della non-necessità di abbattere le barriere architettoniche? Una vera assurdità, visto che stiamo parlando di luoghi in cui dovrebbero poter afferire anche e soprattutto i disabili. Probabilmente le dinamiche che regolamentano l’apertura di queste attività andrebbero riviste, cercando di attribuire la giusta importanza ad ogni procedura, ad ogni documento, ad ogni requisito. Il problema è che troppo spesso in questo meraviglioso ma spesso assurdo Paese si rendono complicate le cose semplici e si semplifica troppo ciò che richiederebbe una seria vigilanza.