(Epidemiologia, controindicazioni, diagnosi, trattamento preparatorio e manipolativo, proposta di una tecnica modificata, valutazione e qualità dei risultati)
Low Back Pain and manual therapy: an original contribution (Epidemiology, contraindications, diagnosis, preparatory and manipulative treatment, proposal of a modified technique, evaluation and quality of the results)
Riassunto
La lombalgia è una patologia estremamente comune, la cui origine, nella maggioranza dei casi, è meccanico-disfunzionale. Per tale ragione, operata l’indispensabile diagnosi differenziale con patologie non meccaniche ed esclusa scrupolosamente ogni controindicazione, sia tecnica che clinica, è una patologia che risponde molto bene al trattamento manipolativo. Il trattamento può prevedere un gran numero di tecniche preparatorie all’atto manipolativo e offre diverse tecniche di manipolazione vertebrale. Una di queste è stata modificata nella sua fase di presa, al fine di aumentare il confort del paziente e ridurre i rischi di insuccesso e/o di effetti secondari legati al mancato rilassamento del soggetto da trattare.
Parole chiave: Maigne,low back pain.
Abstract
Summary Low back paia is an extremely common pathology, the origin of which, in the majority of cases, is mechanical-dysfunctional. For this reason, once the indispensable differential diagnosis with non-mechanical pathologies has been made and any contraindications, both technical and clinical, are scrupulously excluded, it is a pathology that responds very well to manipulative treatment. The treatment can include a large number of preparatory techniques for the manipulative act and offers various vertebral manipulation techniques. One of these has been modified in its grip phase, in order to increase the patient’s comfort and reduce the risk of failure and / or secondary effects related to the lack of relaxation of the subject to be treated.
Keywords: Maigne,d.d.i.m.
Epidemiologia
Il termine “low back pain” (LBP) indica la lombalgia comune, vale a dire quella patologia ricorrente che colpisce il tratto lombare della colonna vertebrale, caratterizzata da dolore e limitazione funzionale.
Quello del LBP è un fenomeno in costante aumento: l’80% della popolazione ne soffre almeno una volta nella vita, è la terza causa di accesso agli studi di Medicina Generale, ed è il motivo più frequente di disabilità al di sotto dei 45 anni. Il dolore nel 95% dei casi è di origine meccanica, dovuto alla vita sedentaria, alla tendenza a mantenere posture scorrette ed obbligate (per esempio sul posto di lavoro), ma anche a quadri di artropatia degenerativa ed a sovraccarichi funzionali.
A tal proposito giova ricordare quanto la colonna lombare venga sollecitata sotto carico: avendo ad esempio un soggetto del peso di 70 kg in posizione eretta, una flessione del tronco di soli 20 gradi provoca una compressione sulla terza vertebra lombare pari a 120 kg, ed il tentativo di sollevare un peso di 20 kg con le stesse modalità incide sulla medesima vertebra con un carico di ben 340 kg.
Low back pain, non solo origine meccanica
Benché spesso la lombalgia trovi origine in patologie benigne, occorre anche ricordare che vi sono dei casi in cui il LBP è legato a patologie non meccaniche, anche gravi: si tratta ad esempio di patologie tumorali come il mieloma multiplo, tumori a localizzazione retroperitoneale, tumori primitivi vertebrali o del midollo spinale, metastasi vertebrali a partenza da linfoma, melanoma, carcinomi di polmone, fegato, prostata, rene. Possono essere in causa patologie infettive come osteomieliti, spondilodisciti o un ascesso epidurale. La lombalgia è di comune riscontro anche in caso di patologie reumatiche (spesso associate alla presenza dell’antigene HLA-B27), come la spondilite anchilosante, l’artrite reumatoide, la polimialgia reumatica, l’artrite psoriasica o la sindrome di Reiter.
In altri casi la lombalgia può avere origine viscerale, quindi non in relazione con una patologia, primitiva o secondaria, del rachide. Fra le principali cause di lombalgia di origine viscerale vi sono: 1) le patologie dell’apparato digerente, come l’ulcera gastrica o duodenale della parete posteriore. Si presentano generalmente con dolore in regione mediana, a livello del passaggio dorso-lombare, che insorge con una frequenza legata ai pasti e che solitamente si attenua mediante una terapia farmacologica specifica; 2) le patologie vascolari, come l’aneurisma dell’aorta addominale, che determina un dolore lombare irradiato ai fianchi; 3) le patologie ginecologiche, come la retroversione o un processo flogistico dell’utero, l’endometriosi, la trazione sui legamenti utero-sacrali esercitata da un utero di grosse dimensioni, un’affezione dell’ovaio, che possono causare dolore lombare con irradiazione nello scavo pelvico; 4) le patologie della prostata, di tipo infiammatorio o tumorale, sono invece le cause più comuni di dolore sacrale, che può associarsi in alcuni casi a disturbi urinari.
Tutte questi quadri patologici rappresentano delle controindicazioni assolute al trattamento con manipolazioni vertebrali del paziente affetto da LBP, e non rispettarle può portare ad eventi avversi potenzialmente drammatici.
Le manipolazioni, infatti, pur essendo un mezzo terapeutico efficace e sicuro, possono rappresentare un pericolo se utilizzate in modo inappropriato. In tal senso un rigoroso percorso diagnostico ed una corretta selezione dei pazienti da avviare al trattamento sono elemento imprescindibile del percorso diagnostico-terapeutico.
Proprio l’errata selezione dei pazienti è, infatti, nella maggior parte dei casi alla base dei pur rari incidenti: se infatti è estremamente improbabile provocare lesioni gravi a causa di una manipolazione eseguita in modo scorretto ma effettuata su un paziente selezionato correttamente, si possono registrare incidenti anche fatali in seguito ad un trattamento pur tecnicamente corretto ma eseguito su un soggetto affetto da determinate patologie (pensiamo ad esempio ad una manipolazione cervicale su un paziente con IVB o una manipolazione lombare in un paziente con aneurisma dell’aorta o metastasi vertebrali).
Alla luce di quanto prima considerato non appare esagerato affermare che la più importante indicazione all’esecuzione di una manipolazione è la mancanza di controindicazioni.
Generalità sulle controindicazioni
Le controindicazioni al trattamento manipolativo si dividono in due categorie: quelle tecniche e quelle cliniche. Per le prime si tratta di casi in cui la manipolazione appare un trattamento razionale in problemi di natura meccanica ma non vi sono le condizioni per effettuarlo. Le seconde sono legate alla presenza di affezioni di natura non meccanica per le quali la manipolazione non ha alcuna ragione di essere impiegata e potrebbe essere pericolosa.
Controindicazioni tecniche
1) La regola del non dolore e del movimento contrario non è applicabile: anche quando la natura meccanica di un problema vertebrale è stabilita in modo chiaro, la manipolazione può essere praticata solo quando la regola del non dolore è soddisfatta.
2) Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad una colonna estremamente rigida: se si è in presenza di una significativa resistenza alla manovra è conveniente astenersi dalla manipolazione e praticare solo delle manovre di mobilizzazione e di stiramento.
3) Il paziente ha paura della manipolazione: in nessun caso si deve manipolare un paziente che abbia timore di questo trattamento.
4) L’operatore non è perfettamente padrone delle manovre: l’apprendimento delle manipolazioni è lungo e richiede un lavoro assiduo che, attraverso una pratica quotidiana, consente al manipolatore di prendere confidenza con le tecniche fino a padroneggiarle.
Controindicazioni cliniche
Rappresenta una controindicazione assoluta all’esecuzione di una manipolazione la presenza di una malattia tumorale, infiammatoria o infettiva, una malformazione della giunzione cervico-occipitale, una grave osteoporosi, un’insufficienza vertebro-basilare.
Occorre quindi effettuare un’accurata diagnosi differenziale prima di intervenire manualmente su un paziente affetto da algia al rachide, avviando al trattamento chi è affetto solo da patologia su base meccanica (DDIM) ed escludendo coloro che soffrono di malattie di altra origine o che, oltre al DDIM, presentano quadri patologici concomitanti che rendono il trattamento pericoloso.
Il percorso diagnostico
Appare, quindi, di fondamentale importanza raccogliere sempre un’anamnesi accurata ed eseguire un esame obiettivo generale scrupoloso, e solo successivamente eseguire le manovre semeiologiche dell’esame obiettivo codificato da Robert Maigne.
Questo esame consente di formulare una diagnosi da cui deriverà l’indicazione o meno alla terapia manipolativa, il tipo di manovre da eseguire e le loro coordinate. Un aspetto importante è che questo tipo di diagnosi, oltre ad avere un preciso impatto terapeutico, permette di controllare i risultati nel tempo ed adattare la terapia agli sviluppi del caso.
L’esame si compone di quattro manovre standardizzate:
- la pressione assiale sull’apofisi spinosa.
Con il polpastrello del pollice ed interponendo l’altro pollice, si applica una pressione stabile, progressiva e mantenuta per alcuni secondi sull’apofisi spinosa in direzione postero-anteriore;
- la pressione laterale sulla spinosa.
Si tratta di una manovra praticabile a tutti i livelli tranne che nella zona cervicale ove si può utilizzare, generalmente, solo su C7. Si esegue una pressione lenta e progressiva sulla spinosa, tangenzialmente alla pelle, prima da destra verso sinistra e poi controlateralmente. Con questa manovra si evoca un movimento di rotazione sulla vertebra sollecitata che, in presenza di un DDIM, è doloroso;
- la pressione-frizione sulle articolazioni posteriori.
Si esegue una pressione-frizione ad un dito di distanza dalle apofisi spinose e, nel caso in cui si rilevi un punto particolarmente sensibile, questo corrisponderà sempre ad un massiccio articolare;
- la pressione sul legamento intespinoso.
La sofferenza di un segmento spesso comporta un’aumentata sensibilità a carico del segmento inter e sovraspinoso che sarà evidenziata mediante una pressione-frizione esercitata con il polpastrello o, meglio, con l’occhiello di una chiave.
Durante l’esame segmentario si possono commettere errori per eccesso o per difetto: pressioni maldestre o esagerate possono rivelarsi dolorose su un segmento normale e pressioni insufficienti o mal applicate possono non rilevare la sensibilità di un segmento interessato da un DDIM.
Il Disturbo Doloroso Intervertebrale Minore
Le manipolazioni vertebrali trovano applicazione razionale nei casi in cui alla base della sintomatologia algica vi sia un disturbo doloroso intervertebrale minore (DDIM), definit da Maigne “una disfunzione vertebrale segmentaria dolorosa, benigna, di natura meccanica e riflessa, generalmente reversibile”.
Si tratta quindi di una patologia benigna del rachide, la cui causa non è semplicemente meccanica bensì multifattoriale, che si giova dell’azione meccanica diretta e riflessa indiretta delle manipolazioni.
Generalità sulle manipolazioni
Successivamente alla diagnosi di DDIM è possibile avviare il paziente al trattamento di Medicina Manuale
Robert Maigne, padre fondatore della Medicina Manuale. Maigne definisce la manipolazione “una mobilizzazione passiva forzata che tende a portare gli elementi di una articolazione o di un insieme di articolazioni al di là del loro gioco abituale, fino al limite del loro gioco anatomico possibile. Consiste dunque per il rachide, quando lo stato di questo lo permette e lo richiede, nell’eseguire dei movimenti di rotazione, lateroflessione, flessione o estensione, isolati o combinati, a livello del segmento vertebrale scelto”.
Da un punto di vista tecnico la manipolazione vertebrale si compone di tre fasi:
- la messa in posizione del paziente. Questo può essere supino, prono, seduto, ecc.. È fondamentale che anche l’operatore assuma una posizione corretta, pena la cattiva esecuzione della manovra, con possibili danni per il paziente o per l’operatore stesso;
- la messa in tensione. In questa fase il segmento mobile da trattare viene mobilizzato passivamente dall’operatore fino ad incontrare una resistenza rappresentata dal limite del movimento passivo. Arrivato a questo punto l’operatore deve insistere un momento in questa posizione, senza tornare indietro;
- l’impulso manipolativo o manipolazione propriamente detta. Partendo dalla posizione di massima escursione articolare prima raggiunta tramite la messa in tensione si imprime un movimento forzato, secco, breve ed unico che, provocando una brusca diminuzione della resistenza articolare accompagnata spesso da rumore di scrocchio, forza ancora per qualche grado l’escursione articolare. Il movimento, che sembrerà vincere la resistenza precedentemente offerta dall’articolazione nel momento della messa in tensione, deve essere rapido e con ampiezza molto limitata. Appena superata questa resistenza, infatti, il movimento deve immediatamente cessare per non rischiare una lussazione articolare.
Messa in posizione Messa in tensione Impulso manipolativo
La regola del non dolore e del movimento contrario
Per ogni caso clinico che possa avvalersi di un trattamento manipolativo esistono manovre utili, manovre inutili e manovre nocive o pericolose. Il sistema di applicazione delle manipolazioni vertebrali proposto da Maigne non è fondato sulla nozione di alterata motilità vertebrale, ma su quella del dolore provocato dal movimento passivo eseguito sul segmento vertebrale interessato: allorché un segmento vertebrale presenta una disfunzione locale o proiettata è dolente quando mobilizzato passivamente in certe direzioni, mentre è indolore in quelle opposte. Per essere efficace e sicura la manipolazione va sempre eseguita nella direzione opposta a quella che provoca il dolore. La regola del non dolore e del movimento contrario, infatti, consiglia di forzare il movimento passivo ed indolore (non dolore) opposto al movimento passivo doloroso (movimento contrario).
Va rimarcato che si prende a riferimento il dolore causato da una mobilizzazione passiva e non da un movimento attivo fatto dal soggetto.
Il razionale di questa scelta terapeutica è legato al fatto che forzare alla fine della sua corsa e in senso opposto a quello doloroso il movimento passivo libero con un impulso breve e secco, causa un riflesso di inibizione che attenua o annulla i meccanismi che sottendono alla disfunzione segmentaria. Si tratta di un contributo originale basato sul concetto che, per liberare in modo meccanico e riflesso il nervo spinale dalla compressione determinata dalla contrattura antalgica della muscolatura intervertebrale omolaterale, si debba indurre un potente riflesso inibitore della contrattura stessa mediante l’attivazione massiva dei recettori periarticolari controlaterali che scaturisce dalla manipolazione vertebrale. Il movimento breve e forzato dell’impulso manipolativo determina una scarica afferente ad alta frequenza che è in grado di riprogrammare i centri midollari dei riflessi miotatici (non controllabili dalla volontà del paziente per l’esiguità dalle vie extrapiramidali) che regolano il tono della muscolatura inter- e para- vertebrale.
Le manipolazioni nel LBP
Per quanto riguarda le patologie benigne del rachide lombare, la manipolazione rappresenta un trattamento particolarmente efficace, ed è quindi particolarmente indicata, in molti casi di lombalgia acuta di origine lombare.
Nelle lombalgie croniche di origine lombare bassa le manipolazioni costituiscono un trattamento sovente efficace anche quando vi sono segni radiologici di patologia degenerativa (discopatie, osteofitosi ecc…). Il beneficio può essere duraturo ma è sempre consigliabile utilizzare delle tecniche complementari, come la rieducazione funzionale.
Nel caso di lombalgia bassa con origine a livello della cerniera dorso-lombare (D11-D12 o D12-L1) la manipolazione è il trattamento di elezione, sia nei casi acuti che cronici, mentre la rieducazione funzionale è meno importante.
La seduta di manipolazione
Una volta stabilita la diagnosi premanipolativa, la seduta di trattamento prevede tre fasi:
- manovre di decontrazione generale e locale (massaggio e stretching).
Sono lente, ampie, ritmate, permettono di valutare la muscolatura del paziente. Hanno effetto antalgico e possono, da sole, migliorare notevolmente il quadro clinico;
- manovre di mobilizzazione orientata.
Sono lente, ben dosate e ben ritmate, ripetute, prima globali e poi elettive nell’individuazione del segmento da trattare e nella direzione in cui si dovrà manipolare, arrivando fino alla messa in tensione ma senza la somministrazione dell’impulso manipolativo;
- manipolazioni articolari.
La prima manipolazione, generalmente, andrà fatta nella direzione opposta a quella che è più bloccata e dolorosa. Dopo la prima manovra si valuteranno i risultati e si procederà, se necessario, con altre manovre.
MANOVRE DI DECONTRAZIONE GENERALE E LOCALE
Massaggio:
È indirizzato al trattamento dei piani superficiali, profondi o (spesso) ad entrambi e mira sia a decontrarre, attraverso l’impastamento (fig. 1) e lo stiramento delle masse muscolari (fig. 2, 3, 4), sia a trattare gli infiltrati cellulalgici attraverso delle manovre di pinzamento-rotolamento (fig. 5) e plica rotta (fig. 6).
Fig.1: impastamento muscolare
Fig.2 Stiramento longitudinale dei muscoli paravertebrali: si effettua stirando longitudinalmente i muscoli paravertebrali.
Fig.3 Stiramento trasversale dei muscoli paravertebrali in posizione prona: si effettua scollando i muscoli vertebrali dalle docce paravertebrali.
Fig.4 Stiramento trasversale dei muscoli paravertebrali in posizione prona: si effettua agganciando le masse muscolari con le dita poste ad uncino
Fig.5 Pinzamento-rotolamento Fig.6 Plica rotta
Le manovre di pinzamento-rotolamento e di plica rotta, che devono essere eseguite in modo dolce e progressivo, inducono a loro volta un impastamento dei piani cutanei e sottocutanei cellulalgici. La prima si effettua agganciando una plica di pelle e facendola scorrere fra indice e pollice, la seconda agganciando la plica e spostandone in senso opposto i due capi. Le manovre possono essere sgradevoli ma non devono mai diventare intollerabili o francamente dolorose ed il fastidio deve cessare non appena terminata la manovra.
Stretching:
Medio gluteo e fascia lata
A paziente prono, il medico afferra all’altezza del ginocchio la gamba opposta del paziente rispetto alla sua posizione, e la tira a sé e verso il basso mentre esercita un controappoggio sull’ala iliaca (fig. 7).
Fig.7 Stretching del medio gluteo e della fascia lata
Extrarotatori d’anca
A paziente prono e con gamba piegata a 90° a livello del ginocchio, l’operatore intraruota l’arto prendendo un controappoggio sul sacro (fig. 8). Per lo stretching degli intrarotatori la manovra è opposta.
Fig.8 Stretching degli extrarotatori in posizione prona
Stiramento dei piani posteriori
A paziente supino con coscia flessa a 90° sul bacino, ginocchio esteso e caviglia in flessione dorsale, l’operatore tiene l’arto del paziente con un braccio poggiato all’altezza del ginocchio mentre con l’altra mano ne flette dorsalmente la caviglia (fig. 9).
Fig.9 Stretching dei piani posteriori
Trazione assiale della gamba
A paziente supino, ben rilassato e con le gambe estese, l’operatore afferra con una presa ferma ma non dolorosa la caviglia del paziente e traziona verso di sé l’arto eseguendo una messa in tensione progressiva (fig. 10). È una manovra ottima per il rilassamento dei glutei, tuttavia non deve essere eseguita in caso di sciatalgia.
Fig.10 Trazione assiale di gamba
MANOVRE DI MOBILIZZAZIONE ORIENTATA
Sono manovre lente, ripetute, prima globali e poi eseguite elettivamente nella direzione in cui si dovrà manipolare e sul livello interessato, portando dolcemente il segmento vertebrale fino alla messa in tensione ma senza dare l’impulso manipolativo.
In flessione
A paziente in decubito supino, il medico prende appoggio sulla spalla del paziente e su un ginocchio, flettendo l’arto inferiore verso la spalla omolaterale (fig. 11) o controlaterale (ottenendo una leggera rotazione). La manovra può essere eseguita flettendo contemporaneamente entrambe le ginocchia.
Fig.11 Mobilizzazione in flessione verso la spalla omolaterale
In lateroflessione
A paziente coricato sul fianco con gambe e cosce piegate, il medico afferra le caviglie tirando verso di sé, effettuando così una lateroflessione lombare (fig. 12, 13).
Fig.12 e 13 Mobilizzazione in lateroflessione: posizione iniziale e finale
In estensione
A paziente prono il medico prende la coscia opposta a sé al di sopra del ginocchio elevandola passivamente mentre esercita un controappoggio sulla regione lombare (fig. 14).
Fig.14 Mobilizzazione in estensione
MANIPOLAZIONE
Tecnica spalla-bacino in cifosi
Messa in posizione
Con il paziente coricato di fianco sul lettino il medico ne tira dolcemente ma fermamente a sé il braccio inferiore ponendo il piano delle spalle a 45° rispetto a quello del lettino (fig. 15).
Fig.15 Tecnica spalla-bacino in cifosi: posizione del piano
delle spalle rispetto al lettino
La gamba a contatto con il lettino è distesa, la coscia flessa sul bacino, il piede è all’esterno del lettino e punta verso il basso. La gamba controlaterale è flessa al ginocchio, con il dorso del piede poggiato sulla parte posteriore del ginocchio dell’altra (fig. 16).
Fig.16 Tecnica spalla-bacino in cifosi: posizione degli arti inferiori
Messa in tensione
L’operatore colloca un avambraccio sulla spalla del paziente (fig. 17), spingendola verso il lettino, e l’altro sull’ischio (fig. 18), tirandolo a sé, verso il basso ed in direzione caudale. Partendo da questa posizione allontana fra loro gli avambracci, realizzando un movimento simile a quello del tiro con l’arco.
Fig.17 Messa in tensione nella tecnica Fig.18 Messa in tensione nella tecnica
spalla-bacino in cifosi: appoggio sulla tecnica spalla-bacino in cifosi: appoggio
spalla. sull’ischio
Impulso manipolativo
A partire dalla messa in tensione il medico aumenta bruscamente la pressione sull’ischio, realizzando un movimento di rotazione (fig. 19).
Fig.19 Tecnica spalla-bacino in cifosi: l’impulso manipolativo
Variante alla tecnica base
L’appoggio sulla spalla può essere preso anche con la mano aperta (fig. 20). La scelta su quale tipo di appoggio utilizzare viene presa in base alla scelta tecnica dell’operatore ed al confort del paziente (anche se ben eseguito, non tutti i pazienti tollerano il controappoggio sulla spalla operato con l’avambraccio).
Fig.20 Tecnica spalla-bacino in cifosi: variante dell’appoggio sulla spalla
Tecnica spalla-bacino in lordosi
Messa in posizione
Il piano delle spalle, nella posizione di partenza, non è più a 45° ma perpendicolare al lettino (fig. 21): il paziente, quindi decombe su un fianco con la testa poggiata su un cuscino di altezza adeguata (tale da mantenere in posizione rettilinea il tratto cervicale).
Fig.21 Tecnica spalla-bacino in lordosi: posizione del piano
delle spalle rispetto al lettino
La gamba poggiata sul lettino non è più sul bordo bensì al centro dello stesso, in estensione, per favorire la lordosi (fig. 22).
Fig.22 Tecnica spalla-bacino in lordosi: la posizione degli arti inferiori
Messa in tensione
Una mano fissa la spalla del paziente mentre l’avambraccio controlaterale viene poggiato sulla parte laterale della cresta iliaca e la trascina in rotazione intorno ad un asse che attraversa il paziente dalla testa ai piedi, fino alla messa in tensione (fig. 23).
Fig.23 Tecnica spalla-bacino in lordosi: la messa in tensione
Impulso manipolativo
A partire dalla messa in tensione il medico aumenta bruscamente la pressione sull’ischio, realizzando un movimento di rotazione del rachide lombare forzando la lordosi (fig. 24, 25, 26).
Fig.24, 25, 26 Tecnica spalla-bacino in lordosi: movimento dell’ischio durante
l’impulso manipolativo.
Variante alla tecnica base
L’impulso manipolativo non è dato dall’avambraccio, bensì dal palmo della mano, aperta e poggiata a piatto sull’ala iliaca (fig. 27).
Fig.27 Tecnica spalla-bacino in lordosi: impulso somministrato
con la mano aperta in luogo che con l’avambraccio
Tecnica a cavallo
È un’ottima tecnica di manipolazione in rotazione della cerniera dorso-lombare, che si applica anche al rachide dorsale e lombare inferiore (fig. 28).
Permette di manipolare in tutte le direzioni: rotazione pura o associata a flessione, estensione e lateroflessione. È inoltre utile nella valutazione clinica delle limitazioni funzionali e come mobilizzazione
Fig.28 Tecnica a cavallo
Messa in posizione
Il paziente è posto a cavalcioni sul lettino. Le braccia del paziente possono essere posizionate in diversi modi: incrociate sul petto, dietro la nuca, una mano dietro la nuca e l’altra sul gomito. Per l’esempio corrente, in cui si realizza una manipolazione in rotazione sinistra, il medico afferra con la mano sinistra il paziente e pone l’eminenza tenar destra sulla trasversa destra della vertebra da trattare. L’avambraccio dell’operatore è orizzontale, perpendicolare al tronco del paziente, con il gomito appoggiato sulla propria cresta iliaca per imprimere un impulso deciso, saldo e ben controllato (fig. 29).
Fig.29 Tecnica a cavallo: messa in posizione
Messa in tensione
Il medico imprime una rotazione al tronco del paziente e contemporaneamente modifica la sua posizione ruotandogli intorno al paziente (fig. 30, 31, 32).
Fig.30, 31, 32 Tecnica a cavallo: rotazione del medico intorno al paziente per la
messa in tensione
L’eminenza ipotenar del medico mantiene il contatto sulla trasversa vertebrale aumentando progressivamente la pressione fino alla messa in tensione (fig. 33).
Fig.33 Tecnica a cavallo: posizione dell’eminenza ipotenar nella messa in tensione
A questo punto l’operatore, in appoggio prevalente sul suo piede destro, imprime l’impulso manipolativo, che è dato dall’avambraccio destro (assistito in questa sua azione dalla mano sinistra che afferra il paziente). Il movimento che genererà l’impulso, in realtà, parte dalla rotazione del bacino che trasmette il movimento al gomito con cui è solidale, all’avambraccio stesso e, da questo, alla trasversa.
La posizione delle braccia del paziente
Classicamente le posizioni in cui il paziente può mettere le braccia nel corso di questa manipolazione, e di conseguenza i modi in cui il medico lo bloccherà, sono tre:
- Mani unite dietro la nuca
- Braccia incrociate sul petto
- Una mano sulla nuca omolateralmente, appena sotto l’orecchio, e l’altra sul gomito dello stesso arto.
Se occorre associare alla rotazione una forte lateroflessione solitamente si preferisce la prima tecnica, ma in generale la posizione viene scelta in base alle caratteristiche fisiche del paziente e dell’operatore, avendo comunque sempre l’obiettivo di assicurare al paziente il maggior confort possibile.
La nostra esperienza
In questo senso abbiamo riscontrato che la presa con le mani dietro la nuca (fig. 34), che garantisce un ottimo controllo del tronco del paziente da parte del manipolatore, può risultare poco confortevole per alcuni, in particolare soggetti affetti da limitazioni funzionali alle spalle o cervicalgia. Peraltro questa posizione richiede che il manipolatore esegua la presa in modo perfetto, onde evitare una fastidiosa trazione a livello cervicale.
Fig.34 Tecnica a cavallo: presa con le mani dietro la nuca
La presa con le braccia incrociate sul petto (fig. 35) garantisce certamente un ottimo confort al paziente, tuttavia non assicura all’operatore un perfetto controllo del tronco del soggetto, in particolare nel caso in cui alla rotazione si associno ampi movimenti di flessione, estensione o lateroflessione
Fig.34 Tecnica a cavallo: presa con le braccia incrociate sul petto
La presa con una mano dietro la nuca e l’altra sul gomito (fig. 36) assicura un ottimo controllo del tronco da parte del medico in tutte le fasi dell’atto manipolativo e qualunque sia la direzione del movimento, sia in rotazione pura che in associazione con altre direzioni.
Fig.35 Tecnica a cavallo: presa con una mano dietro la nuca e l’altra sul gomito
Tuttavia questa presa è stata giudicata poco confortevole da diversi pazienti, in particolare donne o soggetti magri, che lamentavano sensazioni di tensione/dolore all’altezza dell’ascella sotto la quale passava il braccio dell’operatore, della regione costale compressa dall’avambraccio, ed al seno.
La nostra proposta
Per le ragioni prima espresse, in base all’esperienza clinica, abbiamo messo a punto una presa diversa, al fine di garantire all’operatore un ottimo controllo del paziente in tutte le fasi della manipolazione assicurando però a quest’ultimo il massimo confort.
Partendo dalla posizione con mano dietro la nuca e l’altra sul gomito, abbiamo afferrato il braccio del paziente come nella presa originale, cioè all’altezza del terzo distale del bicipite circa, ma abbiamo fatto passare il nostro braccio non sotto, bensì sopra quello controlaterale del paziente, che in questo modo risulta perfettamente aderente al tronco (fig. 37).
In questo modo l’avambraccio e il gomito dell’operatore si trovano sopra il braccio del paziente (che viene fissato contro il torace), la spalla del paziente è “accolta” nella culla che si crea fra il braccio e la spalla dell’operatore, e non si esercita alcuna pressione sulla regione costale, sottoascellare o sul seno.
Fig.37 Tecnica a cavallo: nuova proposta per la presa del paziente
La presa risulta, quindi, oltre che assolutamente confortevole, molto salda, tanto da permettere all’operatore di ruotare e controllare il tronco del paziente anche solo con la mano che assiste e usare la mano destra solo per manipolare senza timore che il paziente possa ruotare in modo non corretto o incompleto (fig. 38).
Fig.37 Tecnica a cavallo: nuova proposta per la presa del paziente
Tutto ciò va inquadrato nell’ottica di fornire il miglior trattamento possibile adattando la terapia alle esigenze del singolo caso in una tecnica in cui medico e paziente devono assolutamente collaborare e lavorare in sinergia per ottenere il successo terapeutico.
Valutazione dei risultati in corso di trattamento
È buona norma, durante la seduta, valutare l’effetto di ogni gesto terapeutico prima di passare al successivo, sia esso massaggio, mobilizzazione o (soprattutto) manipolazione. La valutazione sarà effettuata:
- su un segno obiettivo (segno di Lasegue, distanza suolo-dita, variazione del dolore provocato da un certo movimento);
- su un gesto abituale (ad esempio un movimento che prima della manipolazione era eseguito con grande difficoltà e che diventa più facile);
- sulle manifestazioni a distanza (diminuzione della sensibilità cellulalgica, del dolore teno-periosteo, della contrattura mialgica cordonale);
- sulla diminuzione dei segni locali del DDIM (diminuzione del dolore articolare vertebrale);
- sulla sintomatologia soggettiva del paziente.
Al termine del trattamento può accadere che persistano segni attenuati del DDIM trattato, anche se il paziente è clinicamente guarito. Ciò accade quando il DDIM non scompare ma diviene inattivo. In questi casi sarà l’operatore, in base alla sua esperienza, a decidere come procedere. Appare comunque razionale, soprattutto in pazienti sottoposti per le prime volte alla terapia manipolativa, soprassedere e controllare il paziente dopo qualche tempo. Spesso il passaggio del DDIM dalla fase attiva a quella inattiva è solo il primo passo di un circolo virtuoso che, innescato dalla seduta terapeutica, continua autonomamente e porta alla completa risoluzione del quadro clinico nel giro di qualche giorno.
Importanza di un trattamento personalizzato
Sembra pleonastico ma è comunque il caso di ribadire che il trattamento varia molto in funzione del soggetto che ci si trova davanti e che deve essere tagliato su misura per ogni singolo paziente. Ognuno, infatti, è un caso a sé, con una storia clinica, un rachide, uno stile di vita, delle patologie associate, che lo rende unico e che richiede un trattamento unico: sarà compito del medico, in base alla sua formazione ed alla sua esperienza, impostare un trattamento personalizzato, astenendosi dall’applicare manovre stereotipate, eseguite tutte con lo stesso ritmo, la stessa forza e la stessa tecnica su tutti i pazienti.
Qualità dei risultati
La qualità dei risultati di un trattamento manipolativo dipende in larga parte dalla correttezza dell’indicazione e dalla qualità dell’esecuzione. Quest’ultimo punto merita di essere ancora sottolineato perché bisogna aver chiara la differenza che passa fra sottoporre un soggetto a qualche mobilizzazione scrocchiante stereotipata o ad un trattamento manipolativo ben condotto, assolutamente personalizzato, con sedute ben dosate, progressive e correttamente intervallate.
Per ottenere risultati migliori e durevoli è buona norma, in particolare in caso di patologia di vecchia data in rachide ipomobile, non limitarsi a manipolare il segmento disfunzionale responsabile del dolore, ma manipolare anche i DIM inattivi e mobilizzare i segmenti vertebrali rigidi sia sopra che sottostanti il segmento doloroso. In quest’ottica di riarmonizzazione globale del movimento rachideo non bisogna mai trascurare un percorso rieducativo del rachide in toto, complemento assolutamente indispensabile se si voglio ottenere risultati soddisfacenti. La sedentarietà, infatti, causa di insufficienza muscolare, di cattive sinergie motorie e di mancanza di un corretto controllo del proprio corpo, è la grande responsabile, nello stesso tempo, della grande rigidità e della grande fragilità di molte colonne vertebrali.
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