di Accursio Miraglia
LEGGE LORENZIN
La legge “Delega al Governo in materia di sperimentazione clinica di medicinali nonché disposizioni per il riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del Ministero della salute”, anche conosciuta come Legge Lorenzin, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 3/2018.
Il testo prevedeva, fra l’altro, l’individuazione di nuove professioni sanitarie(fra cui quelle di osteopata e chiropratico) che non trovavano rispondenza in professioni già riconosciute e il cui esercizio dovrebbe essere riconosciuto su tutto il territorio nazionale in considerazione dei fabbisogni connessi agli obiettivi di salute previsti nel Piano sanitario nazionale o nei Piani sanitari regionali.
Il provvedimento legislativo, accolto con entusiasmo da osteopati e chiropratici, quasi che gli adempimenti di legge successivi alla promulgazione fossero una formalità da considerar già evasa, in realtà ha, per quanto concerne le professioni sanitaria, istituito 17 nuovi ordini professionali nell’Aprile del 2018.Ma fra queste non figurano né gli osteopati né i chiropratici.
Che, ad oggi, nel caso non siano anche medici, continuano ad esercitare al di fuori di quanto la legge consenta.
Perché queste nuove figure sanitarie siano istituite, successivamente all’emanazione della legge, è stata prevista la necessità di:
1. un parere tecnico-scientifico del Consiglio superiore di sanità, al fine di considerare, tra l’altro, che “la definizione delle funzioni caratterizzanti le nuove professioni sanitarie avviene evitando parcellizzazioni e sovrapposizioni con le professioni già riconosciute o con le specializzazioni delle stesse” come previsto dall’art. 6 comma 4 del DDL stesso;
2. un accordo della Conferenza Stato Regioni in cui siano stabiliti l’ambito di attività e le funzioni caratterizzanti le professioni dell’osteopata e del chiropratico, i criteri di valutazione dell’esperienza professionale nonché i criteri per il riconoscimento dei titoli equipollenti;
3. un decreto del MIUR, acquisito il parere del Consiglio universitario nazionale e del Consiglio superiore di sanità, per definire l’ordinamento didattico della formazione universitaria in osteopatia e in chiropratica nonché gli eventuali percorsi formativi integrativi.
Solo quando e se questo percorso tecnico e istituzionale andrà a buon fine in ogni sua tappa, gli osteopati ed i chiropratici non medici potranno essere considerati esercenti una professione sanitaria a tutti gli effetti. Solo allora sarà possibile istituire percorsi di laurea riconosciuti dallo Stato italiano cui ogni cittadino potrà accedere, diffondere i servizi di terapia osteopatica nelle strutture sanitarie, avere la detraibilità fiscale propria delle prestazioni sanitarie e l’eliminazione del 22% iva.
ANTITRUST
Pare utile segnalare, benché non abbia parere vincolante, come l’Antitrust abbia recentemente osservato, in merito alla legge Lorenzin, che “L’istituzione di nuovi ordini professionali non è opportuna” e “L’autorità osserva con preoccupazione l’ampliamento del numero degli ordini professionali in materia sanitaria”. In particolare “è stata evidenziata la non opportunità di costituire nuovi ordini professionali e nuovi albi per le professioni sanitarie non mediche se non in casi eccezionali”, poiché “sotto il profilo della qualificazione professionale, le esigenze di tutela del consumatore possono essere soddisfatte con la previsione di un apposito percorso formativo di livello universitario”.
CONCLUSIONI
Da quanto finora emerso appare chiaro che il quadro legislativo italiano in materia di manipolazioni vertebrali è estremamente eterogeneoe costituito da leggi e progetti di legge talvolta in palese contrasto fra loro.
Vi sono comunque dei dati certi dai quali emerge che al momento in Italia non vi sono corsi di formazione riconosciuti a livello istituzionale per osteopati e chiropraticie che queste figure professionali non sono equiparabili al medico come fornitori di servizi sanitari: quest’ultimo è l’unico autorizzato a fornire assistenza sanitaria ai pazienti, sia nell’ambito della medicina classica stricto sensu, sia nell’ambito delle medicine alternative.
Ne deriva che i capisaldi legislativi con cui, ad oggi, devono misurarsi gli operatori sanitari sono due:
1)art. 348 codice penale- Abusivo esercizio di una professione – (Chiunque abusivamente esercita una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 10.000 a euro 50.000. La condanna comporta la pubblicazione della sentenza e la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e, nel caso in cui il soggetto che ha commesso il reato eserciti regolarmente una professione o attività, la trasmissione della sentenza medesima al competente Ordine, albo o registro ai fini dell’applicazione dell’interdizione da uno a tre anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. Si applica la pena della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 15.000 a euro 75.000 nei confronti del professionista che ha determinato altri a commettere il reato di cui al primo comma ovvero ha diretto l’attivita’ delle persone che sono concorse nel reato medesimo). Per intendere la portata di detto articolo basti pensare che al laureato in medicina non ancora abilitato all’esercizio della professione medica è consentito di effettuare su un paziente solo il rilevamento della pressione arteriosa e della temperatura corporea.
2)art. 498 codice penale- Usurpazione di titoli o di onori -(Chiunque, fuori dei casi previsti dall’articolo 497-ter, abusivamente porta in pubblico la divisa o i segni distintivi di un ufficio o impiego pubblico, o di un corpo politico, amministrativo o giudiziario, ovvero di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, ovvero indossa abusivamente in pubblico l’abito ecclesiastico, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 154 a euro 929. Alla stessa sanzione soggiace chi si arroga dignità o gradi accademici, titoli, decorazioni o altre pubbliche insegne onorifiche, ovvero qualità inerenti ad alcuno degli uffici, impieghi o professioni, indicati nella disposizione precedente).
Di notevole importanza ai fini della definizione dei reati di cui agli articoli sopra indicati è l’art.2229 codice civile(Esercizio delle professioni intellettuali)che recita: “la legge determina le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi. L’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati (alle associazioni professionali), sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente.
Per quanto attiene alla giurisprudenza in materia occorre citare la sentenza n. 39050/03 della Cassazione VI sezione penaleche, nell’attribuire adue chiropratici veronesi i comportamenti integranti la fattispecie penale di cui all’art.348 codice penale, specificava anche che il chiropratico può praticare “..sempreché l’attività concretamente esercitata non implichi il compimento di operazioni che solo chi è abilitato all’esercizio della professione medica può legittimamente eseguire” e che “la norma penale individua come elemento necessario e sufficiente per l’integrazione della fattispecie l’assenza di quella speciale abilitazione che lo stato richiede per l’esercizio della professione”.
In proposito è opportunoricordare che, al fine di esercitare alcune professioni, non è sufficiente il conseguimento della laurea e l’eventuale titolo abilitativo della professione, ma è anche necessaria l’iscrizione nell’apposito albo professionale o ordine di riferimento.Nella sentenza si legge, infine, che “adesso, pertanto, i chiropratici devono considerare necessariamente che nello stato italiano è fatta loro espressa proibizione di:predisporre anamnesi,formulare diagnosi mediche,suggerire esami clinici e radiologici,prescrivere cure mediche e trattamenti terapeutici, agire direttamente su pazienti con le opportune manipolazioni senza la preventivaprescrizione del medico”.
Alla fine di questo excursus appare auspicabile che venga fatto proprio quanto precisato dallaCorte Costituzionale (provvedimento n. 282 del 2002)e cioè che “salvo che entrino in gioco i diritti o doveri costituzionali non è di norma il Legislatore a dover stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione”.In ragione della predetta asserzione, quindi, appare evidente come siadovere dei medici e non del Legislatore stabilire quali sianoi limiti, le condizioni ed il contenuto dell’attività espletabile dal personale non sanitarionello Stato italiano.
Se, infine, si tralasciasse il punto di vista strettamente legale e si ponesse per un attimo l’accento su ciò che è alla base dell’operato del medicola questione troverebbe, probabilmente, facile soluzione.
Basterebbe riflettere sul concetto di diagnosi.
Definita come la procedura di ricondurre un fenomeno a una categoria dopo averne considerato ogni aspetto, la diagnosi è l’identificazione della natura e/o della causa di qualcosa. È conoscenza comune che il processo diagnostico sia articolato in diverse fasi in cui bisogna raccogliere scrupolosamente la storia clinica del soggetto, porre in essere un esame segmentario ma anche generale alla ricerca dei segni di patologia, effettuare una diagnosi differenziale sulla base delle conoscenze di patologia medica, chirurgica e delle altre discipline specialistiche facenti parti del corso di laurea in medicina e chirurgia. Solo a questo punto si potrà suggerire una terapia e formulare una prognosi. Discernere fra i numerosissimi sintomi e segni che un paziente può presentare richiede un bagaglio culturale vastissimo, al quale attingere per individuare una determinata patologia.
La mancanza di un’adeguata formazione, indipendentemente da eventuali episodi di dolo o colpa, rende estremamente improbabile formulare una diagnosi corretta, una diagnosi differenziale certa e, di conseguenza, stilare un piano terapeutico adatto, che non comporti rischio per la salute del cittadino (primum non nocere!).